Era il 28 febbraio 1953 quando James Watson e Francis Crick intuirono per la prima volta la struttura del nostro DNA.
In quegli anni riuscire a decodificarne la struttura del DNA era diventato un ambizioso obbiettivo per diversi gruppi di ricerca.
Che cos’è il DNA?
Il Dna può essere considerato un libro in cui sono contenute tutte le informazioni che definiscono le nostre caratteristiche fisiche, dal colore degli occhi a quello dei capelli, fino alla forma del nostro viso.
È grazie al DNA se ereditiamo alcuni tratti somatici dai genitori nostri genitori.
Questo è composto da due filamenti a forma di elica uniti l’uno all’altro dalle basi azotate: adenina, citosina, guanina e timina.
Su un filamento di Dna le basi azotate si succedono a formare un vero e proprio codice al quale corrispondono informazioni su ciò che avviene nella cellula.
La storia del Dna: Rosalind Franklin e la storia dimenticata
Quando si parla della storia del DNA non possiamo non pensare alla figura di Rosalind Franklin, ricordata con il suo soprannome la “terribile Rosy”.
È lei la grande dimenticata nella storia della scoperta del Dna. Rosalind Franklin nasce nel 1920 in una facoltosa famiglia ebrea di banchieri londinesi e dimostra sin da bambina la sua passione per la scienza. Nonostante le varie ostilità riesce a ottenere un dottorato presso l’Università di Cambridge nel 1954 e si trasferisce a Parigi per perfezionare le sue ricerche sulla diffrazione dei raggi X.
A Londra per le sue competenze il materia di cristallografia affianca Wilkins nello studio della struttura del Dna. Ed è proprio lei a “fotografare” per la prima volta la struttura a doppia elica, immortalata in quella che è nota come la “Photograph 51”. Probabilmente a causa della prolungata esposizione ai raggi X, nel 1956 si ammala di tumore alle ovaie. Muore due anni dopo a soli 37 anni.
All’assegnazione del Nobel per la scoperta del DNA non viene nemmeno citata. Ma Watson nel suo libro «La doppia elica» edito nel 1968 parla di lei e del suo impegno e importanza per la scoperta.
Lo scienziato, nel libro, scrive di aver “Realizzato troppo tardi le lotte che deve fare una donna intelligente per essere accettata nel mondo scientifico, che spesso le considera come delle deviazioni del pensiero serio. Il coraggio e l’integrità esemplari di Rosalind sono stati evidenti a tutti quando, pur sapendo di essere gravemente malata, non si è mai lamentata e ha continuato a lavorare fino a poche settimane dalla sua morte”.