Smart working, la modalità di lavoro più diffusa nell’ultimo periodo. Essa, consiste nell’utilizzo dei propri strumenti tecnologici per lavorare. Inoltre, non si hanno vincoli di orario o luoghi in cui svolgere la mansione. Questa modalità, già da anni utilizzata da alcune aziende, è diventata sempre più utilizzata con la diffusione del Covid-19.
Infatti, durante il periodo di lockdown, molti hanno avuto la possibilità di lavorare direttamente da casa, per evitare di raggiungere il posto di lavoro. Tale rapporto lavorativo è molto efficace e utile in situazioni di disagio. Allo stesso tempo, però, l’utilizzo abituale di oggetti tecnologici e il limitato contatto umano potrebbe favorire l’insorgere di disturbi della voce ?
La ricerca del Trinity College di Dublino
Lo studio portato al termine dal Trinity College di Dublino, ha dimostrato, tramite un’accurata ricerca, che il telelavoro ha portato ad un aumento dei casi di persone affette da disturbi della voce. I risultati della ricerca sono stati pubblicati negli ultimi giorni sul ”Journal of Voice”.
La ricerca, sostenuta dagli esperti, ha coinvolto 1575 persone, che sono state sottoposte ad una serie di test. Gli esperti, attraverso esami e questionari, avevano l’obbiettivo di individuare eventuali malesseri e fastidi legati alla voce.
Tale studio, ha dimostrato quindi, che i casi di malesseri legati alla voce sono aumentati in modo esponenziale dall’inizio della pandemia. In particolare, durante il periodo di chiusura. Di conseguenza, lo smart working, ha un ruolo importante in tutto questo, poiché l’utilizzo della voce è fondamentale. Tramite videoconferenze e telefonate, i lavoratori fanno uno sforzo superiore alla norma.
Tra i disturbi più diffusi, c’è sicuramente la disfonia. Quest’ultima è considerato il disturbo della voce più diffuso e consiste nella difficoltà di riprodurre una voce normale.
È importante, che i datori di lavoro considerino l’opportunità di adottare misure specifiche per limitare il rischio di problemi vocali se il lavoro da casa dovesse diventare un’abitudine per alcuni dipendenti anche dopo l’emergenza sanitaria.