È già il 38° anniversario… perdonatemi, vi spiego meglio e vi rendo partecipe del mio momento di riflessione. Sono già trascorsi 38 lunghi anni dall’efferato omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’Agente della Polizia di Stato Domenico Russo, avvenuto il 3 settembre del 1982; un tragico episodio nel quale la giustizia è stata vinta ancora una volta dalla sopraffazione e dal sopruso.
Il funesto e drammatico evento ebbe luogo a Palermo, dettagliatamente a via Carini: il generale stava uscendo dalla prefettura con la propria moglie, che guidava l’automobile, per dirigersi a cenare in un ristorante del luogo. Dietro un’altra vettura, nella quale era presente l’agente di scorta. Alle ore 21:15, in via Isidoro Carini, avvenne la solita battaglia tra giustizia ed ingiustizia, onestà ed immoralità, vita e morte. Il generale e la sua povera moglie furono coinvolti in un attentato mafioso, uno dei più violenti del nostro Paese, nel quale morirono entrambi sul colpo.
Trenta colpi di Kalashnikov, una scarica di ben trenta colpi, gelidi e violenti hanno colpito le tre vittime. I malviventi, infatti, decisero di utilizzare un’arma da guerra proprio per mettere a tacere in eternità un audace membro dello Stato eccessivamente seccante per “Cosa nostra“, il quale si era immesso in modo efficiente nelle dinamiche della “Seconda guerra di mafia“, tentando di massacrare ed eliminare ogni nemico. Soltanto in questo modo Carlo Alberto Dalla Chiesa poteva essere messo fuorigioco; possedeva temerarietà ed un enorme senso di eroismo. Ed è proprio per questo che per Dalla Chiesa “l’arroganza mafiosa doveva cessare” ed in tempi brevi.
Al generale italiano bastarano un centinaio di giorni nella prefettura di Palermo per dar voce alla speranza dei palermitani onesti, speranza che, però, durò veramente pochissimo, perché l’organizzazione mafiosa “Casa nostra“, attraverso i sicari di via Carini fece catapultare nuovamente il popolo siciliano in quell’orribile dimensione, nell’atrocità delle stragi e della violenza criminale.
Già colpevole di alcuni crimini efferati, avendo ucciso magistrati e politici, “Casa nostra” voleva distruggere ed eliminare ogni loro spina nel fianco, ogni individuo che tentava il tutto per tutto per ostacolare i loro maledetti e crudeli sotterfugi. Voleva chiudere il cerchio degli uomini onesti e dei difensori della Legge, proprio la morte del generale Dalla Chiesa, inviato a Palermo all’indomani dell’omicidio del sindacalista Pio La Torre.
Dopo l’ingiusta morte di Dalla Chiesa, lo Stato Italiano dovette fare i conti con l’amarissimo rimpianto di non avergli mai donato i pieni poteri, che il generale chiedeva a gran voce, per combattere “Cosa nostra“. Quindi, il prefetto inviato in terra siciliana per lottare contro la mafia dopo anni di guerra al Terrorismo terminati con gli arresti al vertice delle Brigate Rosse, fu sterminato prima di disporre delle facoltà necessarie per abbattere la malavita organizzata.
“Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli“, diceva il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. E beh caro prefetto, tu invece al contrario di coraggio ne possedevi, e anche molto. Uno spietato episodio ha stroncato la tua vita, o meglio, qualcuno di malvagio ha stroncato la tua vita. Sono passati 38 anni da allora ed una grossa responsabilità si è accollata a noi senza mai andare via: è necessario mantenere viva la memoria di un grande uomo, di un difensore della giustizia, medaglia d’oro al valore civile, che di valori civili ha colmato il nostro Paese negli anni in cui Terrorismo e mafia lo deturpavano insieme e senza nessuna pietà. Il 3 settembre siamo tutti chiamati a commemorarlo nel giorno del ricordo.