Da Dante a Mogol. La poesia nel linguaggio comune. La poesia, si sa, è un’arte aulica e sublime ma proprio per questo ritenuta da molti inavvicinabile e inarrivabile, inafferrabile e incomprensibile. Gran parte della migliore produzione poetica resta pertanto nel chiuso delle pagine dei libri, e solo i pochi eletti che leggono abitualmente poesie hanno il privilegio di godere della bellezza delle composizioni dei più grandi poeti della storia.
Anche se con la diffusione dei social le cose stanno cambiando e la poesia moderna e contemporanea circola e viene letta (specie con Instagram ) molto più che in passato. Tuttavia permane un’enorme barriera tra poeti e pubblico. Ciò nonostante ci sono delle eccezioni. Due in particolare: Dante e Mogol.
A questo punto immaginiamo lo stupore di molti che stropicciandosi gli occhi per la sorpresa (se non addirittura per la blasfemia) leggeranno il nome del Sommo Poeta affianco a quello di Giulio Rapetti. Il quale tra l’altro ( con suo enorme dispiacere) viene definito più spesso paroliere che non poeta. Cos’hanno in comune Dante e Mogol ? All’apparenza nulla. Ma è proprio così ?
I versi di Dante nel linguaggio comune
Da Dante a Mogol. La poesia nel linguaggio comune. Dante è considerato il massimo poeta di tutti i tempi nonché il padre della lingua italiana. Un poeta talmente grande che è l’unico chiamato solo col nome. Talmente famoso che molti suoi versi sono ormai entrati nel nostro vocabolario corrente. E che sono ripresi e ripetuti anche da chi non ha mai letto la Divina Commedia né tantomeno l’ha studiata. Facciamo qualche esempio.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona
Amor, ch’a nullo amato amar perdona (Inferno, canto V, vv. 103-105). Lo afferma Francesca da Rimini per giustificare il suo tragico amore per Paolo. Siamo nel girone dei lussuriosi. Lo si dice ancora oggi per sottolineare come chi è amato non può non amare.
Io era tra color che son sospesi
Io era tra color che son sospesi (Inferno, canto II vv. 52-54) Così si definisce Virgilio parlando a Dante. Oggi indica uno stato di attesa, che nel poema è riferito al Limbo, dove Dante colloca le anime dei morti non battezzati, tra cui Virgilio.
Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate
Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate (Inferno, canto III vv. 1- 3 e 9) La frase, riferita alla porta dell’Inferno , viene usata (usando il moderno entrate però) quando ci si appresta a varcare una soglia per inoltrarsi in un percorso difficile e irto di ostacoli.
Senza infamia e senza lode
Ed elli a me: “Questo misero modo/ tegnon l’anime triste di coloro/ che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”.(Inferno, canto III vv. 34-36) Così Virgilio parla a Dante degli ignavi. Nel linguaggio comune, ci si riferisce ai mediocri, incapaci di fare scelte.
Non ragionar di loro, ma guarda e passa
Non ragionar di loro, ma guarda e passa (Inferno, III vv. 49-51) Sempre Virgilio che parla a Dante e sempre riferendosi agli ignavi. Si dice così quando si parla di gente che non merita attenzione né che si perda tempo con loro
Altri esempi di citazioni dantesche
Altre citazioni dantesche sono ormai entrate nel nostro linguaggio quotidiano. Pochi sanno che il termine Bel Paese (quale appellativo dell’ Italia) è di Dante (XXXIII canto dell’Inferno, nel IX cerchio, quello dei traditori della patria).
Sempre dallo stesso cerchio deriva la moderna l’espressione “Stai fresco” con cui intendiamo dire ” non hai scampo”. Infatti secondo Dante «i peccatori stanno freschi», perchè condannati al ghiaccio perenne. La frase “ Non mi tange” viene pronunciata invece da Beatrice scesa nell’Inferno, a dimostrazione della sua indifferenza alla miseria dei dannati, in quanto creatura divina. Lo diciamo anche noi comunemente quando una cosa non ci interessa più di tanto.
Le dolenti note (Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire- Inferno, V, 25) è un’altra espressione molto usata. Sono le grida di dolore dei lussuriosi. Il ben dell’intelletto (Vedrai le genti dolorose /c’hanno perduto il ben de l’intelletto. Inferno III, 18)è un’espressione che pur derivando da Dante ha cambiato significato. Dante si riferiva ai dannati che non potranno incontrarsi con Dio a causa dei loro peccati, mentre oggi vuol dire aver perso la ragione.
A viso aperto (Inferno X, 93) deriva dall’incontro di Dante con Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina (Ma fu’ io solo, là dove sofferto/ fu per ciascun di tòrre via Fiorenza /colui che la difesi a viso aperto). E si potrebbe continuare ancora con molti altri esempi.
I versi di Mogol nel linguaggio comune
Da Dante a Mogol. La poesia nel linguaggio comune. Canzoni o poesie musicate ? Paroliere o poeta? Un dibattito antico. Mai giunto a conclusioni univoche. Una cosa però è certa . Mogol con i suoi versi ( e sono versi, su questo non ci piove) ha lasciato un segno profondo nella vita di ognuno di noi.
Certo ha collaborato con tanti artisti, da Tony Renis a Gianni Morandi, da Luigi Tenco a Cocciante, da Mina e Vanoni fino a Mango, Renato Zero e Rino Gaetano. Ma l’ impatto culturale che hanno avuto i versi delle canzoni nate dalla collaborazione con Lucio Battisti è stato ed è tuttora unico e irripetibile.
Molti sono entrati nel linguaggio corrente dei modi di dire ma soprattutto nel mondo dei meme e della comunicazione digitale, nell’editoria e nel giornalismo contemporanei. ”Pensieri e parole”, ”Lo scopriremo solo vivendo”, ”Tu chiamale, se vuoi, emozioni”, “Acqua azzurra, acqua chiara”, ” Ancora tu, ma non dovevamo vederci più”, ”Come può uno scoglio arginare il mare”.
A volte le citazioni riguardano i titoli, altre volte i versi estrapolati dalle canzoni. Citiamo a mo’ di esempio “lo scopriremo solo vivendo“, “le bionde trecce”, ”guardavo il mondo che, girava intorno a me”. E ancora “ma come mai, tu qui, stasera”, ” il mio mestiere è vivere la vita, che sia di tutti i giorni o sconosciuta”. Gli esempi sono innumerevoli.
Amplificati dalla potenza musicale di Battisti, i versi delle poesie pop di Mogol si calano nel parlato comune attraverso il frequente utilizzo del dialogo simulato.
Dallo stilnovismo di Dante al pop di Mogol
A differenza di quanto accaduto nei secoli per i versi di Dante, trasmessi oralmente tra le generazioni, quelli di Mogol risalgono solo (si fa per dire) ad alcuni decenni fa. Per cui la loro onnipresenza nel nostro linguaggio è legata soprattutto alla musica, mezzo ideale per la diffusione con i social . Per questo Mogol è stato definito il poeta dei mass media.
Per la sua immediatezza abbinata alla enorme popolarità spesso i suoi versi sono utilizzati nella satira politica. A volte tuttavia innalza notevolmente il livello delle sue poesie con metafore e inserti letterari.
“Le voglio sfiorare i capelli col respiro del mio cuore” (Dio mio no), “E vola sulle accuse della gente/ a tutti i suoi retaggi indifferente/ sorretto da un anelito d’amore” (Il mio canto libero). Ricordiamo anche gli accesi dibattiti sulla reale interpretazione dei «boschi di braccia tese» (dal brano La collina dei ciliegi).
Come giustamente sottolineato da Gianni Borgna: “Nelle canzoni di Mogol-Battisti, irripetibile impasto di kitsch e di “sublime”, l’ermetismo e “Grand’ Hotel”, Montale e Liala si tengono splendidamente per mano”.