Il termine cultura deriva, etimologicamente parlando, dal verbo latino colere, “coltivare”, il suo utilizzo si è esteso poi a quei comportamenti che imponevano una “cura verso gli dei”, nasce un ulteriore derivato, il termine “culto”. La cultura oggi è intesa come un sistema di saperi, opinioni, credenze, costumi e comportamenti che caratterizzano un gruppo umano particolare; un’eredità storica che nel suo insieme definisce i rapporti all’interno di quel gruppo sociale e quelli con il mondo esterno.
Studi e ricerche sulla cultura popolare non sono sempre stati oggetto di studio così approfondito, né sono stati preservati nel corso delle epoche. Se oggi la cultura ci aiuta, grazie ai potenti mezzi di ricostruzione della storiografia, a rimettere insieme i tasselli di civiltà scomparse, fino a convivere con i loro ideali, precedentemente la stessa aveva un ruolo più personale e meno tecnico. Grazie ai progressi della disciplina storiografica, che ci ha portato a comprendere l’origine di quelle che sono ancora oggi delle credenze cardine nella vita dell’uomo, oggi la cultura è considerata il filo conduttore alternativo della storia europea, a lungo osteggiato e schiacciato
Esso, pur essendo stato calpestato, non è mai stato eroso del tutto dalla cultura dei dotti, dei ricchi e dei potenti, portando alla nascita di una cultura alternativa, radiata in quei momenti di convivialità, di giovialità, in quelle comunitarie tradizioni e credenze, dei veri e propri frammenti di un qualcosa di antichissimo e profondamente radicato, tramandato spesso oralmente, visivamente, genitore in figlio, che solo la cultura moderna e contemporanea sarebbero state in grado di seppellire quasi completamente.
Come riscoprire tutto ciò? Come Strappare il velo di Maya che ricopre quel qualcosa che era postulato come fondamentalmente e originariamente unitario? Negandone l’esistenza.
Agli inizi del XXI secolo la cultura popolare non era più intesa come un settore della ricerca in campo umanistico: si stava trasformando in un’esperienza di massa in cui antichità, tradizione e legame con l’ambiente rurale sono considerati caratteri fondanti, stessi elementi che il ricercatore degli anni Settanta considerava di difficile decifrabilità. Oggi si ha una fiducia nel passato, così come una eccessiva fiducia nelle proprie possibilità di indagarvi e comprenderlo senza avere gli strumenti necessari, tale da rendere ognuno in grado di rifugiarvisi trovando giustificazione alle proprie ipotesi. Un piatto tipico, un oggetto, un modo di fare, vengono elogiati quanto pi antichi risultano essere, antichità è oggi simbolo di ricercatezza.
Ma perché accade ciò?
La risposta è più semplice del previsto, si è teso ad insabbiare, a progredire, a occultare tanto quelle tradizioni che oralmente venivano radicate nella cultura da rendere necessaria, dopo una irreversibile mutazione delle stesse, una riscoperta di quei caratteri originalmente fondanti.
Un’usanza è infatti il fulcro attorno al quale si riconosce un intero popolo, o una sezione di esso, un qualcosa di comune, simbolo di un’origine comune, che rende più rassicurante e nobilitante la continuazione dello stesso. Oggi quindi tutto ciò che è antico è nobile, tutto ciò che è riscoperto è da portare avanti, da innalzare a esempio per gli altri.
Semplice e quasi obbligato è poi il passaggio dal campo delle scienze umane alla sfera dell’identità personale: qualunque cosa venga percepita da singoli e collettività come profonda e immediata può essere compresa nella “cultura popolare”.
Da ciò nasce un ulteriore equivoco, la normalizzazione di un tale atteggiamento di riscoperta, la moralizzazione di pratiche considerate fondanti e originali, spesso è vista come un processo di distruzione della cultura. Secondo la modernità della cultura popolare un tale atteggiamento sarebbe simbolo dell’oppressione esercitata in passato da dotti, ricchi e potenti, che ancora oggi miete numerose vittime.
Tutto ciò che è considerato capace di evocare un mondo “popolare” è autentico, suggestione romantica questa contrapposta a quella illuminista, perpetrata attraverso i culti fascisti, rilanciata dalla cultura che non conosce il meccanismo di indagine e ricostruzione tipico della storiografia. Questa suggestione porta però ad un dualismo culturale, quella “popolare” rigidamente contrapposta a quella “dominante”, recente, artificiale, cittadina e quindi corrotta.
Proprio questa è l’evoluzione indesiderata, non è possibile l’esistenza di due culture contrappose, ad una più attenta analisi ci si rende infatti conto che la cultura è sempre unitaria, ciò che cambia è il modo di vederla, di comprenderla, di tramandarla.