Negli ultimi mesi ce lo siamo ripetuti molte volte, la pandemia da Covid-19 sta portando ad una fortissima crisi economica.
Il governo ha, da marzo ad oggi, varato una serie di provvedimenti atti ad iautare le categorie professionali in difficoltà, in molti però sono stati lasciati indietro.
È questo sicuramente il caso degli allestitori di fiere ed eventi. Una categoria che racchiude in se diversi codici Ateco, colpiti duramente dalla crisi economica post covid,di cui molti sono stati completamente esclusi dai vari decreti ristori. Solo per citare alcune delle categorie dimenticate, abbiamo i codici 73.11.09, 43.99.09, 43.29.09, 82.99.99 ecc. un insieme di categorie professionali che in una lettera al Presidente del Consiglio Conte si definiscono INVISIBILI.
Il problema di questi lavoratori è stato in questi giorni portato alla luce in Regione Campania da Giacomo Portas leader dei Moderati in una nota congiunta con il segretario regionale in Campania Vincenzo Varriale e il consigliere regionale in Campania Pasquale Di Fenza , che analizzando la crisi economica del settore e sulla mancanza di ristori , hanno dichiarato : « È il metodo ad essere sbagliato, per il ristoro basterebbe semplicemente guardare alla perdita di fatturato facilmente verificabile visto che esiste la fatturazione elettronica. Ci si appella al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte affinche’ l’intero comparto non resti fuori dal sostegno economico visto che in questo settore ci sono circa 2mila imprese per 2 miliardi di fatturato, ante COVID-19 e 120mila addetti».
Nell’intento di dar voce a questa categoria professionale abbiamo intervistato, un imprenditore campano con esperienza ventennale nel settore degli allestimenti fieristici, il geometra Tommaso Petrone, che si è fatto portavoce del problema della crisi economica del settore.
Il vostro settore è stato penalizzato sin dalla prima ondata dell’epidemia da Covid-19, con un blocco totale delle attività. Ripercorriamo insieme le tappe di questa odissea?
«Il tutto è iniziato a fine Febbraio,quando si sentiva parlare vagamente di questo virus, anche se all’inizio, come credo un pò tutti, abbiamo sottovalutato la cosa, pensando fosse un inflenza stagionale un pò più grave. In quei giorni mi trovavo in Germania e molti dei clienti che dovevano partire dall’Italia chiedevano notizie sull’andamento della malattia in quella parte di Europa. In realtà la cosa era percepita molto più qui in Italia che in Germania, dove tutti continuavano a lavorare normalmente. Quando siamo tornati in Italia, però, i primi di marzo le cose hanno preso però una piega diversa. Gli ordini venivano cancellati, in un giorno solo quasi il 90% delle commesse che avevamo è stato annullato, molte delle fiere già in corso sono state chiuse, camion che erano partiti per allestire fiere in Europa a metà strada sono stati costretti a tornare indietro perchè le fiere erano state annullate. Questo per noi ha voluto dire chiudere gli stabilimenti, quando ancora qui non si sapeva se ci sarebbero state delle chiusure noi siamo stati i primi a dover chiudere per forza di cose perchè non c’era lavoro. Da allora siamo sempre rimasti chiusi, anche se a settembre hanno provato ad aprire qualche manifestazione, non c’erano espositori e le organizzazioni non se la sentivano di affrontare un percorso , anche perchè le fiere non si possono aprire e gestire in un giorno due ma richiedono una programmazione che parte mesi o anni prima. Dal momento della chiusura però il Governo non ci ha proprio presi in considerazione».
Quale è stato il problema che ha portato alla vostra esclusione dai ristori previsti dallo stato?
« Allora non siamo stati inseriti in nessun decreto ristori, dal primo sino all’ultimo che è stato fatto in questo mese, anzi le banche in questi mesi ci hanno risposto che la nostra è considerata una categoria a rischio e quindi ci hanno negato anche il famoso ristoro con copertura al 90% da parte dello Stato. Banche che ci hanno definito categoria a rischio senza neanche valutare il fatturato e la solidità delle singole aziende, togliendoci a questo punto anche il diritto al tanto pubblicizzato in tv prestito con copertura al 90% da parte dello Stato. Questo per quanto riguarda la parte bancaria,nell’ultimo DPCM , hanno preso la nostra categoria, che racchiude diversi codici Ateco, hanno selezionato quelli che secondo loro andavano bene e tanti non sono stati presi in considerazione».
Quindi, per chiarezza, all’interno del vostro settore, ci sono più codici Ateco e alcuni sono stati esclusi dal Decreto Ristori mentre altri no?
« Esattamente, cioè il 90% sono stati esclusi e solo un 10% rientra in questo decreto».
In questi mesi avete provato a cercare un dialogo con le istituzioni? Qualcuno vi ha dato risposta?
« No, addirittura abbiamo scritto alla segreteria del consiglio, ma la nostra mail è stata direttamente cestinata».
Oggi almeno in Regione Campania abbiamo visto alcuni esponenti del Consiglio Regionale, tra cui il segretario regionale in Campania Vincenzo Varriale e il consigliere regionale in Campania Pasquale Di Fenza, dar voce al vostro problema, che cosa chiedete alle istituzioni?
« Noi chiediamo di intercedere o comunque di far qualcosa loro nei confronti del governo per far si che tutti questi codici ateco dimenticati , ma che appartengono alla stessa categoria professionale vengano presi in considerazione, venga chiarita questa differenza. Io credo, in buona fede, che neanche loro conoscano la differenza tra un codice e l’altro. Noi fino a qualche anno fa non avevamo una categoria specifica, ma venivamo categorizzati come ideazione di campagne pubblicitarie, poi vi era una specifica che parlava anche di allestimenti fieristici e di scenografie ecc., che poi è il codice che abbiamo in maggioranza ed è il codice che non c’è nel DPCM. In realtà basterebbe prendere la categoria, interrogare l’agenzia delle entrate, vedere il mancato fatturato che oggi stiamo avendo e vedere quali sono le nostre perdite».
Nel vostro caso la crisi economica non riguarda una riduzione del fatturato ma di fatturato zero da marzo ad oggi.
«Si, siamo ad un 95% di perdite perchè un ò abbiamo lavorato a gennaio e febbraio, ma in realtà anche nelle previsioni siamo a zero, ad oggi sino a a Febbraio siamo certi che non ci saranno fiere, perchè anche se si sbloccasse il tutto non ci sarebbero i tempi organizzativi».
Mi sta dicendo che a voler essere ottimisti si potrà riparlare di eventi fieristici non prima della primavera 2021?
«Si, sempre ammesso che si trovi un vaccino. Perchè le fiere sono proprio l’assembramento per antonomasia, è impossibile pensare ad una fiera senza pubblico. Dobbiamo quindi solo sperare in un vaccino e chiaramente anche nella ripartenza non sarà come prima. Perchè molte aziende, se anche non avranno chiuso o saranno state soggette a fallimento, non avranno come priorità la partecipazione alle fiere, ma penseranno a ripartire, questo quindi avrà un ulteriore ripercussione sul nostro comparto. Un settore poi il nostro che, tra l’altro, fa da traino a diversi altri settori come la ristorazione, gli alberghi e i trasporti. Noi crediamo che il problema di non esser stati presi in considerazione derivi dal fatto che abbiamo preferito non scendere in piazza, ma seguire un profilo più basso nonostante la cosa sia di interesse nazionale ».