Lui, la giacca con la cravatta la veste in modo disinvolto, la figura elegante la porta in dotazione fin da quando si trasformava in aeroplanino per far volare alte le ambizioni dei suoi tifosi di turno, che hanno avuto la fortuna di vederlo giocare con i propri colori e che hanno esultato per le sue prodezze. Vincenzo Montella appartiene alla categoria degli allenatori che si sono ispirati al modello Guardiola nello stile ma anche nella carriera che non ha avuto bisogno di lunghe gavette, con itinerari improbi per raggiungere campi malandati. Carriere iniziate con i bigliettini da visita con sopra scritti nomi illustri che nel caso del napoletano di Pomigliano, servirono ad aprirgli le porte della serie A con la Roma, nel febbraio del 2011 quando da allenatore dei “giovanissimi” giallorossi, gli furono date in mano le redini della prima squadra, dopo un caustico benservito che la dirigenza diede a Claudio Ranieri. L’anno dopo, i giallorossi assordati dalle sirene spagnole (venne Luis Enrique) non confermarono Vincenzino che fu subito preso dal Catania di Pulvirenti che con lui in panchina, ottenne un’insperato undicesimo posto e il record di punti (44) dei siciliani in serie A. La stella del trainer di Pomigliano d’Arco brilla lucente in quel periodo e puntuale arriva la chiamata del club importante, la Fiorentina, con la quale Montella vive i suoi anni migliori, tre per la precisione (2012-2015), del mestiere di allenatore, coronati da buoni piazzamenti in campionato, una finale di coppa Italia persa col Napoli (3-1) ed un gioco di squadra brioso e spettacolare. A questo punto la giostra dell’aeroplanino si ferma, complice l’inaspettato addio a Firenze e le esperienze con la Sampdoria dove subentrò a Zenga, al Milan e al ‘Siviglia a cui ha regalato alcune parentesi felici in Champions (eliminò lo United all’Old Trafford) finirono tutte in modo non troppo onorevole e con la perdita della panchina. La storia recente della nuova chiamata della viola, al posto del dimissionario Pioli, sarà meglio dimenticarla in fretta e le sette sconfitte con solo due pareggi in nove partite ne danno esaustiva testimonianza. Il futuro legato ad un filo per il cambio della proprietà dai Della Valle a Commisso è solo un aspetto, il meno preoccupante, della carriera del nostro mister, il cui limite si potrebbe ricercare in un carattere non abituato a sbattere i pugni sul tavolo ed un indole che non si serve di unghie lunghe per difendersi in un mondo dove più che “assi” nella manica servirebbero “aspidi”. Una persona diversa dal giocatore che pretendeva il posto da titolare nella Roma di Capello, che minacciava di non scendere in campo e che metteva cattiveria in tutte le sue giocate, un uomo che se dovesse lasciare Firenze dovrà scegliere con cura la prossima panchina perchè le opportunità non arriveranno sempre e non si sa quale potrà essere l’ultima.