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Ciclo mestruale nei campi di concentramento

Il ciclo mestruale è stato considerato per anni una fonte di vergogna, qualcosa da tenere nascosto, tant’è che la storia stessa per anni ha evitato di parlarne.

All’interno dei campi di concentramento, le donne venivano rasate completamente dopo le “prime selezioni”, quelle povere donne nel giro di due mesi, deperivano, il corpo man mano perdeva forma e sostanza, insieme alla dignità di ognuna di loro; come una candela che lentamente si consuma.

Un corpo emaciato, abusato, pelle cascante, fianchi inesistenti e ossa sporgenti. 

Il cibo, quelle scarse razioni che ogni detenuto all’interno dei campi di concentramento mangiava, era pieno di bromuro, utilizzato dai Nazisti per bloccare il ciclo mestruale.

Il corpo esile delle ragazze dei lager non riusciva a reintegrare vitamine e proteine e molte di loro soffrivano di amenorrea, non solo a causa del bromuro versato nelle zuppe, ma anche per lo sfinimento dovuto al lavoro forzato cui erano sottoposte.

Oltre al bromuro, Peggy J. Kleinplatz, docente della facoltà di Medicina dell’Università di Ottawa, ha dichiarato che le donne avrebbero ricevuto, insieme ai pasti, steroidi sintetici in grado di far sparire le mestruazioni.

Una stratagemma messo in atto dai nazisti per accertarsi che le detenute non avessero figli nei campi di concentramento, ma usato anche come espediente per umiliarle. 

Nei primi mesi di permanenza nei lager il ciclo mestruale continuava a presentarsi, ed era motivo di vergogna. Le donne, disperate e senza nulla per proteggersi, guardavano ogni angolo alla ricerca di qualche brandello di stoffa utile per coprirsi. Nulla di più complicato.

Ciclo mestruale: tra storia e realtà

Alcune ragazze, giunte ancora bambine nei lager, dovettero gestire il problema delle mestruazioni da prigioniere.

Smarrite ed impaurite, spesso erano aiutate dalle compagne più anziane, che procuravano pezzi di carta, o piccoli ritagli della propria biancheria, da usare come “tampone”.

Quelle perdite di sangue macchiavano non solo i vestiti, o meglio le divise che indossavano, spesso di due o tre taglie più grandi rispetto alla corporatura di ognuna, ma anche i loro corpi.

Un problema non da poco, le donne venivano avvisate che qualora avessero macchiato le divise col sangue, considerato “antiestetico”, sarebbero state uccise. 

L’assenza o l’interruzione improvvisa del ciclo mestruale a causa dei fattori elencati, causava ansia e paura per una perenne sterilità e per la salute rovinata per sempre.

Come hanno raccontato alcune deportate, tra le quali anche la senatrice Liliana Segre, spesso il sangue gocciolava lungo le gambe e ogni mese (anche se la cognizione del tempo era quasi nulla) ogni donna aveva il terrore che potesse arrivare il ciclo, diventato un vero e proprio nemico.

Una sensazione ed una condizione disumana, soprattutto dal punto di vista prettamente psicologico. Tutto ciò naturalmente era mirato a – disumanizzare – ogni persona, ogni prigioniero, già privato di ogni cosa.

Raramente il ciclo mestruale è associato all’Olocausto; una bruttissima pagina di storia e in questo caso un argomento di natura sociale e psicologico più volte evitato nelle ricerche storiche. Ricordiamo che le mestruazioni erano intese come sporcizia, che contrassegnava ed umiliava, all’interno dei lager, le donne, annullandone l’identità.