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Chiostro di Santa Chiara: il gioiello di ceramica di Napoli

Napoli è la bellezza dei suoi monumenti e della storia che li ha costruiti, disfatti e poi innalzati di nuovo. Sono diversi i monumenti plasmati dal flusso dinamico della storia, uno di questi è proprio il complesso di Santa Chiara. Situato nel centro storico, tra la strada omonima e Piazza del Gesù Nuovo, il compresso include la Basilica di origine gotica (ricostruita dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale), il campanile, gli ambienti monastici, il museo dell’Opera Francescana, un’area archeologica risalente all’antica Roma (si tratta dei resti di uno stabilimento termale) e il celebre chiostro maiolicato.

Decantato sia da Rocco Galdieri (“Munasterio ‘e Santa Chiara/tengo o core scuro scuro”) che dall’intellettuale Benedetto Croce (che iniziò “Storie e leggende napoletane” menzionando la cittadella francescana),  il complesso monumentale è segnata da tre fasi cruciali nel corso della sua storia. Nel 1310 il re angioino Roberto I detto il Saggio e sua moglie, Sancia di Maiorca, fecero costruire poco fuori le mura della città medievale una basilica e un convento, spinti sia dal desiderio religioso, sia dalla volontà di edificare una struttura che fosse adatta ad accogliere le spoglie della famiglia reale dopo la morte. I lavori per la basilica vennero affidati a Gagliardo Primario e Leonardo di Vito, mentre diverse sculture furono opera di Tino da Camaino. Inoltre per quanto riguarda gli affreschi Roberto D’Angiò scelse Giotto sotto consiglio di Boccaccio: non è noto se ad aver effettuato gli affreschi sia stata proprio la mano del grande maestro o dei suoi allievi, fatto sta che purtroppo quelle immagini sono state perse del tutto perché nel Seicento vennero occultate con dello stucco. Solo nei luoghi conventuali è rimasta qualche traccia della scuola giottesca: questi ambienti sono visitabili accompagnati da una guida. A devastare ancora di più la basilica furono tuttavia i bombardamenti del 4 aprile 1943 che ridussero in macerie gli abbellimenti del Barocco dell’artista Domenico Antonio Vaccaro.

A sopravvivere indenne fu invece il bellissimo chiostro maiolicato: un vero e proprio miracolo. Il chiostro così come oggi lo vediamo è frutto della ristrutturazione realizzata tra il 1739 e il 1742 da Domenico Antonio Vaccaro e commissionato dalla badessa Suor Ippolita di Carmignano. L’obiettivo era chiaro: realizzare un luogo spirituale, ma che tenesse conto anche dell’armonia, del gusto e dell’eleganza. Vaccaro, dunque, progettò due viali che incrociandosi dividessero il giardino in quattro sezioni, fiancheggiate da pilastri ottagonali ricoperti di maioliche e festoni vegetali (tralci di vite). Due dei settori erano strutturati come un giardino all’italiana con siepi e fontane, mentre gli altri due dovevano essere dedicati alla coltivazione.

I pilastri sono collegati tra loro da sedute interamente maiolicate che ritraggono scene popolari, agresti e mitologiche; solo su uno schienale compare un’immagine tratta dalla vita quotidiana monastica: una suora che sfama dei gattini. Tutte le decorazioni si devono agli artigiani Donato e Giuseppe Masso che hanno armonizzato i colori del chiostro (principalmente i toni del blu, del giallo e del verde) con tutti gli elementi architettonici e naturali del giardino. Sulle pareti ai quattro lati del chiostro, invece, si trovano affreschi del Seicento raffiguranti la vita dei Santi, allegorie e episodi tratti dall’Antico Testamento; l’autore è ignoto, ma probabilmente apparteneva alla scuola di Belisario Corenzio.

La luce, la bellezza delle maioliche e degli affreschi, le architetture e i marmi candidi: tutto nel chiostro ne alimenta la bellezza, facendone un posto senza tempo in cui l’arte e l’estetica incontrano la spiritualità, un posto in contrasto con il caos cittadino.