La plastica monouso non sarà più un pericolo per l’ambiente. Questo è quanto stabilito dalla votazione che si è tenuta ieri presso l’aula del Parlamento dell’Unione Europea in seno a cui i pareri al varamento del provvedimento legislativo sono corrisposti a 571 voti favorevoli, 53 contrari e 34 astenuti.
Festeggiano, a ben donde, le associazioni internazionali che hanno a cuore il benessere della natura, da Legambiente a Marevivo, passando per il WWF.
Numerose le dichiarazioni che hanno fatto trapelare giubilo ed euforia, a partire da quelle di Stefano Ciafani, presidente nazionale proprio di Legambiente, il quale auspica che la normativa, che entrerà in vigore dal gennaio 2021 e riguarderà tutti i paesi dell’Unione, verrà rispettata alla lettera anche in Italia, nazione i cui abitanti storicamente non sono particolarmente devoti al rispetto per la natura ( lo dimostrano recenti dati statistici che confermano come il Bel Paese sia tra i luoghi che conta in Europa più rifiuti giacenti sul suolo tra gomme da masticare, cicche di sigaretta e prodotti di carta e plastica, appunto).
Il decreto stabilisce che sarà vietata la commercializzazione di prodotti in plastica monouso, in special modo riferita a quegli utensili quali bicchieri, piatti e posate, che possono essere ecologicamente sostituiti dai corrispettivi in cartone, meno inquinanti, biodegradabili e pertanto riciclabili. A partire dal 2030, inoltre, è in cantiere una proposta di legge che per quell’anno potrebbe divenire realtà: l’ulteriore intervento di “bonifica” dell’ambiente, inibendo la vendita di filtri monouso per le sigarette, tra i prodotti più venduti e maggiormente riversati outdoor al mondo.
Il mal costume abbinato con i tassi impressionanti di consumismo e ricerca del comfort più totale hanno fatto sì che perdessimo di vista la tutela per il pianeta in cui viviamo e per il quale (è bene ricordarlo) siamo ospiti, negli ultimi tempi forse anche piuttosto indesiderati.
Sono a tutti noi noti oramai i cambiamenti climatici conseguenti a tassi di inquinamento atmosferico di gran lunga al di là della tolleranza cui l’ambiente è disposto a sopportare. Tuttavia le problematiche che si riscontrano chiaramente e drammaticamente nel rafforzamento degli eventi catastrofici, nei cambiamenti climatici e nell’estinzione di specie appartenenti alla flora e alla fauna non devono essere le sole a preoccuparci.
Infatti è necessario rammentare come il 70% della Terra sia composta da acqua e addirittura il 94% delle specie animali abitanti il pianeta siano marine. Partendo da questo presupposto è accertato che l’inquinamento degli oceani, dei mari, dei fiumi e dei laghi abbia fatto sì che microparticelle dei rifiuti di plastica, ivi gettati in modo del tutto sconsiderato, si siano incuneate insidiosamente nella catena alimentare degli animali e, di conseguenza, anche in quella dell’essere umano.
Numerosi ritrovamenti sono stati effettuati in tutto il mondo soprattutto da volontari associazionisti i quali hanno riscontrato che numerose specie animali in particolar pesci e mammiferi, ma anche uccelli come pellicani, albatri (ossia i primi predatori ittici) presentavano nello stomaco e nell’intestino minuscole porzioni di plastica che inevitabilmente ne hanno pregiudicato lo stato di salute.
Per risolvere il problema della plastica in mare la tecnologia si è grandemente prodigata per combattere questo scempio, ultima in ordine di tempo l’invenzione del diciannovenne olandese Boyan Slat che, con il suo Ocean Cleanup, è partito a largo delle coste dell’India e si è prefissato come obiettivo di ripulire gli oceani da quanta più plastica è possibile.
Questo intervento che fa effettivamente un gran bene per riequilibrare il rapporto tra uomo e natura, tuttavia non può considerarsi risolutivo. Studiosi del mondo marino e scienziati sono concordi nel ritenere che la stragrande maggioranza dei rifiuti, la plastica su tutti, dopo un certo “periodo di latenza” in superficie e, in un secondo momento, a non più di 10 metri di profondità, vada poi a depositarsi rovinosamente sul fondale degli oceani e precisamente nella zona batipelagica, lì dove per gli esseri umani è fisicamente impossibile arrivare (soprattutto a causa di una pressione 1000 volte superiore a quella sulla terraferma) se non con sommergibili e simili e ove vivono moltissime specie marine.
Da questi dati possiamo evincere quanto sia difficile la lotta contro la plastica e in generale contro il consumismo e quanto sia arduo proteggere la natura da noi stessi. L’UE ha fatto certamente un fondamentale passo in avanti verso il processo di “guarigione” che ognuno di noi deve intraprendere per assicurare non solo una vita sicura e sana sulla Terra alle future generazioni, ma soprattutto concedersene una propria in linea con le semplici ma rigide regole di convivenza che la natura (giustamente) ci impone.