Il 24 gennaio del 1979 le Brigate Rosse assassinarono l’operaio veneto, Guido Rossa. Nel 1961 cominciò a lavorare presso l’Italsider e successivamente con l’iscrizione al Partito Comunista Italiano divenne sindacalista della CGIL.
Nei pressi del distributore di caffè dello stabilimento in cui lavorava, intravide dei volantini delle Brigate Rosse, introdotti probabilmente per scopi propagandistici. Rossa notò che l’operaio Francesco Berardi, addetto alla distribuzione delle bolle di consegna, si trovava spesso nei pressi della macchinetta. Un giorno, l’armadietto di Berardi venne aperto ritrovandovi documenti brigatisti. Guido Rossa decise di denunciare l’uomo. L’accusato cercò inutilmente di fuggire, ma venne fermato dalla vigilanza della fabbrica; si dichiarò subito prigioniero politico e fu arrestato. Guido Rossa mantenne la denuncia e testimoniò al processo, nel quale Berardi, morto suicida in carcere, venne condannato a quattro anni e mezzo di reclusione. Temendo una vendetta dei brigatisti, il sindacato offrì per alcuni mesi a Rossa una scorta, formata da operai volontari dell’Italsider, a cui rinuncò. La prima ipotesi, formulata dai brigatisti per mettere in atto la vendetta fu quella di catturarlo e lasciarlo incatenato ai cancelli della fabbrica con appeso un cartello infamante. Quest’ipotesi venne subito scartata poiché irrealizzabile, ma venne presa in considerazione la gambizzazione.
Il 24 gennaio 1979 alle 6:35 del mattino, Guido Rossa uscì dalla sua casa in via Ischia, 4 a Genova per recarsi a lavoro con la sua Fiat 850. Ad attenderlo su un furgone Fiat 238 parcheggiato dietro c’erano Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi che gli spararono. Per la prima volta, le Brigate Rosse decisero di colpire un sindacalista.