Quando parliamo di hip hop è impossibile non enumerare tra i capisaldi di questo genere che da oltre un trentennio cresce e si evolve, abbracciando altre generazioni, della figura artistica, ma anche ideologica e politica, dato il carattere impegnato della maggior parte dei suoi testi, di Tupak Shakur.
Figlio di Afeni Shakur, tra i membri principali delle Black Panther, sarà proprio questa ad indirizzare la formazione ideologica-intellettuale del giovane Shakur, improntata sul nazionalismo nero, derivato dalla frequentazione della Black Liberation Army, correlata alla conoscenza del marxismo, a cui allega la conoscenza e lo studio del pensiero e dell’opera di Malcolm X, a cui si allegano i molteplici interessi artistici, come la passione per il teatro e per Shakespeare, oltre che per la musica; a ciò c’è da aggiungere l’interesse sorto negli ultimi anni di vita verso lo studio del Rinascimento e dell’opera di Niccolò Machiavelli da cui trasse uno dei suoi pseudonimi, Makaveli.
A incidere, certamente nella prima adolescenza di Tupac è stata l’assenza di un padre, rimpiazzato da varie figure, a cui si allega il senso di disagio per i perenni spostamenti -da Brooklynn a L.A.- cui è costretta la sua famiglia, la quale quando si frantuma, a causa della tossicodipendenza della madre a metà degli anni 80′, avrà ripercussioni sulla vita dell’artista, spingendolo verso quella stessa vita che spesso ha raccontato nei suoi testi, come lo spaccio di droga, oltre l’uso di stupefacenti.
Ma proprio la strada spinse Tupac ad uscire alla ribalta.
Tra il 1989 e 1990 la carriera musicale può dirsi aver fatto primi passi, entrando nei Digital Underground, un gruppo funky e rap; ma è un quadro troppo piccolo per la visione che Tupac ha della propria musica; infatti del 1991 è l’album di debutto 2Pacalypse Now, in cui oggetto di critica del rapper erano le forze dell’ordine americane, il quale conseguì un ottimi consensi da parte della critica per il singolo Brenda’s got a Baby.
E’ solo la prima pietra di un enorme successo che di lì a poco coinvolgerà il rapper, a cui da soppalco, faranno i problemi con la giustizia. Tra il 1993 e il 1996, infatti insieme ai dischi di successo, sono i processi, soprattutto quello molto oscuro, in merito alle accuse di violenza sessuale ai danni di una fan, che porterà nel 1995 alla condanna di 4 anni, evitata dietro l’aiuto di Suge Knight e dietro il pagamento della cauzione pari a 1,4 mln di dollari.
Ma, insieme ai problemi con la giustizia, in questi anni nasce anche una delle faide storiche, in cui il tipico sfottò, il dissing, trascende e degenera apertamente in fuoco violento.
Nel 1994, a seguito di una rapina a mano armata presso i Quad Recording Studios, in cui il rapper fu ferito da 5 colpi, proprio poco prima dell’attesa della sentenza per il processo in cui era accusato di stupro. Secondo da quanto riferito dallo stesso artista, i quei momenti poco prima della rapina, credette di aver visto degli uomini vicini all’epoca ancora amico, The Notorious B.I.G. , proprio l’atmosfera creatasi intorno a lui in quei giorni, portò all’avvento della faida tra due della massime personalità della musica rap di ogni tempo, addirittura superiore per durata, per violenza e per i successi discografici emersi dalla pubblicazione di singoli ed album in quegli anni.
Infatti, Tupac durante il periodo detentivo aveva da poco vinto un disco d’oro per il terzo album, Me Against the World, considerato da Rolling Stone come Opera Omnia della storia della musica hip-hop, contenente brani come Dear Mama, mera lettera a cuore aperto di un figlio verso sua madre.
Dopo oltre un anno, nel 1995 è edito il doppio album All eyez on me, per la Death Row, etichetta dell’ex bodyguard e ritenuto un pericoloso criminale, Suge Knight. E’ la piena consacrazione artistica e musicale della carriera di un’artista che in meno di tre anni, è riuscito a passare da spalla a protagonista ed icona di un mondo.
All’interno dell’album, in cui spicca soprattutto la collaborazione con uno dei padri del gangsta-rap, come Dr. Dre, ma anche con il talento emergente di Snoop Dogg, rispettivamente per i singoli California Love e 2Americans most wanted, ma anche quello che soesso è stato definito uno dei migliori dissing della storia della musica rap, Hit em up, rivolta contro l’ex amico Notorious e Puff Diddy, avente un chiaro monito contro tutta scena rap dell’East Cost, con cui era viva ancora la faida, a cui in seguito proprio Tupac cercherà di stemperare gli animi.
L’ultimo album edito in vita di 2pac è quasi un’apologia della sua stessa vita, in cui gli eventi che toccheranno di lì a poco la sua vita si materializzano prima in musica e poi nella realtà, in The Don Killuminati, dai toni cupi e funerei, in cui l’artista annunziava che di lì a poco sarebbe stato ucciso, ma allo stesso tempo costante resta la linea tematica seguita.
La morte prese Tupac dopo l’ultimo agguato avuto tra la notte del 7 e l’8 settembre 1996, di ritorno da Las Vegas dopo aver assistito all’incontro di boxe del suo amico Mike Tyson, dopo le 23, mentre era a bordo della Cadillac di Suge Knight, fu raggiunto da una dozzina di colpi d’arma da fuoco, di cui alcuni andarono a segno ferendolo gravemente.
Trascorsi alcuni giorni in terapia intensiva, un’emorragia interna fu letale per l’artista, il quale a oltre 22 anni dalla sua scomparsa non smette di insegnare e propagandare valori capaci di unire generazioni, ma anche diversità spesso elemento preganti di discordie etniche, socio-economiche e civili, come si evince dalla sigla da lui stesso coniata, Thug Life.