La città di Benevento, nonostante fosse feudo ecclesiastico, è stata culla di leggende e miti profani. Famose sono le sue streghe, che sul suolo cattolico erano chiamate Janare o Ianare. Figure dalla forma incorporea – pare che entrino delle case spinte dal vento – sono conosciute per essere delle fattucchiere, veggenti, affette da aritmomania, una nevrosi ossessiva che consiste nell’impulso a numerare oggetti di piccole dimensioni. Infatti, la leggenda vuole, che per tenere lontana una Janara bastava lasciare
fuori porte e finestre una scopa o una sacco di sale. Le Janare avrebbero contato i granelli o i filamenti fino al sorgere del sole, loro mortale nemico. Non è insolito trovare, ancora oggi, capelli femminili nelle serrature delle porte all’ingresso delle camere, la Janara aveva il vizio di soffocare durante la notte e quei capelli servivano per distrarla dai suoi malefici. Di notte erano spietate figlie del demonio, con petto e ascelle cosparse di unguento magico, di giorno conducevano una vita tranquilla, alcune erano sposate e partecipavano anche a funzioni religiose.
Il termine Janara o Ianara ha un’etimologia sconosciuta: secondo le leggende il nome di queste streghe proviene dal dio Giano, divinità bifronte, con due facce, avanti e dietro, capace di controllare chi entrava ed usciva – non a caso era il dio delle porte di casa (ianua, -ae). Altra tradizione vuole che il nome Janara significhi “seguace di Diana”, divinità dei boschi, dei torrenti e delle creature selvagge. Secondo la leggenda le Janare si riuniscono nei boschi, loro dimora e altare per le seguaci Winka. Figure caratteristiche della civiltà contadina, in grado di compiere malefici ed incantesimi, di preparare filtri magici e pozioni in grado di procurare aborti. I contadini riconoscevano il passaggio delle janare dalle trecce che queste lasciavano suoi cavalli. Spesso sceglievano le femmine che lasciavano esauste, sudate e con la criniera raccolta in tante trecce.
Stretto è il legame tra il vento e queste strane figure. Come già accennato, le Janare avevano l’abitudine di cosparsi il petto e le ascelle con un unguento, che permetteva loro di prendere il volo su una
scopa di granata, realizzata con saggina essiccata. Nel momento del salto le Janare pronunciavano sempre la stessa frase in dialetto: “Sotto all’acqua, sotto al vento, sotto la noce di Benevento”. Recentemente, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che l’unguento fosse realizzato con della belladonna, pianta allucinogena che spiegherebbe i così detti voli.
Secondo la leggenda, il luogo prediletto per prendere il volo era il Ponte Janara, costruito sopra il Torrente Janara. Si narra che in fondo alle Coste Janara, si trova un grande masso sotto il quale l’acqua scorre creando un piccolo lago. Qui pare si formino strani gorghi conosciuti col nome di “r Wurv d ‘r nfiern”, che significa il “gorgo dell’Inferno”, passaggio attraverso cui si raggiungono appunto gli Inferi.
Si davano convegno sotto il noce di Benevento la notte del sabato. Sotto i rami di tale immenso albero – che aveva la caratteristica di essere sempre verde, in ogni stagione – celebravano i loro riti orgiastici congiungendosi con spiriti e demoni che prendevano spesso la forma di galli o di caproni. Le Janare, tuttavia, dovevano tornare alle proprie abitazioni prima del sorgere del sole e prima del suono della campana che annunciava l’inizio di un nuovo giorno.
L’ubicazione del noce di Benevento è controversa. Secondo alcuni, esso nasceva
sulle “ripe delle ghianare“, lungo il corso del fiume Sabato. Secondo altri esso si trovava nello Stretto di Barba, secondo altri ancora in una località chiamata “Voto”. Il noce fu fatto tagliare da San Barbato. Si narra tuttavia che l’albero, anche se tagliato, sia rispuntato più volte nello stesso luogo.