Nel 2002, venne presentato alla 55a edizione del Festival di Cannes un film estremamente sperimentale che venne accolto con sorpresa ed emozione da tutti i cinefili: si trattava dell’Arca russa, il primo film ad essere girato totalmente in piano sequenza. Diretto da Aleksandr Sokurov, questo lungometraggio ha richiesto grandi somme di denaro e molto impegno per essere girato; un’impresa titanica se si pensa alla complessità di girare ben 96 minuti in piano sequenza, per non parlare della gestione della troupe: 4500 persone, di cui 867 attori, 3 orchestre del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e 22 assistenti alla regia. L’Arca russa ha richiesto ben 4 tentativi, prima che l’operazione avesse successo. Cosa vuole raccontarci Sokurov con il suo film? A quale scopo tanta fatica?
I personaggi centrali sono due e sono molto diversi tra loro, nonché provenienti da due epoche diverse: un narratore non definito ma che possiamo identificare con lo stesso regista e un marchese francese (Astolphe de Custine) interpretato da Sergei Dontsov. Percorrendo le stanze dell’Hermitage i due attraversano 300 anni di storia russa ed entrano in contatto con momenti quotidiani all’interno della corte e momenti fortemente storici dal carattere ufficiale. I due protagonisti incontrano diversi personaggi storici, tra cui Pietro il Grande, Caterina la Grande (fondatrice, tra l’altro, dello stesso Hermitage nel 1764) e Nicola II mentre è a tavola con la sua famiglia, ancora inconsapevole dell’imminente Rivoluzione. Molti sono i momenti di grande impatto, densi di oscurità e di splendore: ad esempio nel corso del film ci viene presentata una stanza in disordine e al buio che lascia allo spettatore un senso di malinconico terrore, una stanza che incarna la devastazione della Seconda guerra mondiale; alla fine del film però Sokurov delizia lo spettatore con un lungo valzer, l’ultimo Gran Ballo Reale del 1913, in cui i ballerini sono il fiore dell’aristocrazia russa. Un’occasione per mostrare la sfarzosa bellezza di un’epoca, la cui fine si avvicina sempre di più. Le riprese del ballo vogliono comunicare allo spettatore che il cuore del film sono le sensazioni che lascia, il piacere della scoperta della musica dell’epoca, degli abiti raffinati, dei movimenti eleganti dei ballerini. Una meraviglia destinata a frantumarsi quando la musica si interrompe e gli invitati si apprestano a lasciare l’Hermitage così come abbandonano il palcoscenico della storia con l’arrivo della rivoluzione. A quel punto il narratore decide di tornare all’oggi, mentre il marchese deciderà di rimanere lì, incarnando un po’ il desiderio dello spettatore di non abbandonare la visione idilliaca del ballo. A quel punto è spiegato il titolo del film: l’Arca russa è la sua stessa cultura nel mare della storia e dei suoi avvenimenti che come le onde travolgono tutto. Per questo motivo il film non rappresenta l’esistenza di un singolo individuo, ma di un’intera nazione.
Sokurov in questo film ha riversato il suo passato da studente di storia, il suo amore per la filosofia e per l’arte, ma soprattutto l’orgoglio per la sua cultura. È proprio questo sentimento che lo ha spinto a scegliere l’Hermitage (dove sono esposti tre milioni di pezzi tra quadri, sculture e reperti archeologici) come ambientazione e che lo ha costretto ad una corsa contro il tempo: lo staff ci ha messo circa 36 ore ad allestire il set e il museo poteva rimanere chiuso solo un giorno per le riprese (23 dicembre 2001). Tutto il processo è stato raccontato nel documentario “In One Breath” che raccoglie le testimonianze dello stesso regista, il quale racconta anche la sua filosofia e la scelta del piano sequenza: “non voglio sperimentare con il tempo, ma ho bisogno del “tempo reale” per tradurlo direttamente sullo schermo. Non voglio tagliarlo e non voglio accorciarlo. Dovrebbe rimanere così com’è”, riprendendo la visione della cinepresa come occhio che cattura e testimonia gli eventi. Così Sokurov riesce a far comunicare il tempo storico e quello reale, permettendo che 300 anni di storia russa vengano mostrati in circa 90 minuti attraverso la soggettività del suo sguardo. Ciò è stato possibile grazie alla tecnologia digitale: per la realizzazione del film, Sony ha costruito appositamente una videocamera HDW-F900 e un hard disk capace di registrare cento minuti di riprese. Anche Hitchcock aveva tentato di realizzare un film totalmente in piano sequenza, ma era stato limitato dalla tecnologia dell’epoca: così nacque The Rope, l’unione di 8 piani sequenza.
Prima dell’Arca russa, Sokurov era già un regista affermato sia in Russia (fu premiato nel 1997 come Artista emerito della Federazione Russa) che all’estero grazie a due suoi film sui potenti del ‘900: Moloch del 1999 su Hitler e Toro del 2001 su Lenin. Tuttavia, l’Arca russa è un evento storico, una pietra miliare che sancisce due epoche: quella prima dell’Arca russa fatto di sperimentazioni sul piano sequenza, più o meno riuscite e quella dopo che vede un proliferare di film che utilizzano piani sequenza più o meno fake, tra cui Birdman.
Con il suo film, Sokurov analizza la grandezza della storia e della cultura russa, ma anche la sua decadenza e non manca mai un tono sia appassionato che malinconico, commosso e pessimista, un’ambivalenza incarnata dai due protagonisti che costantemente analizzano ciò che vedono. Nel complesso l’Arca russa è un’impresa titanica che valorizza al massimo la ricerca formale e il potere dell’immagine con le sensazioni che questa produce.