Il 23 dicembre del 1915 il poeta italiano Giuseppe Ungaretti scrisse la celebre e straziante poesia, Veglia.
La lirica ha un accentuato carattere diaristico; ciò è evidenziato dall’indicazione del luogo, a fine poesia e parte integrante di essa, ma anche la data stessa, a cui il titolo «Veglia» non può che rinviare.
La poesia era inclusa inizialmente nella raccolta “Porto Sepolto”, poi confluita nel 1931 in “Allegria”.
L’ispirazione di Ungaretti nella stesura del componimento è la guerra nel Carso, a cui lo scrittore prese parte in prima persona e che fu uno degli eventi che maggiormente lo ispirò.
Un testo forte e commovente, che secondo la linea narrativa propria di Ungaretti descrive la tragica esperienza del conflitto, dal punto di vista personale.
Una poesia breve, scritta il 23 dicembre, giorno che precede la Vigilia di Natale, all’interno della quale il poeta fa i conti con la morte, che improvvisamente irrompe dinnanzi ai suoi occhi.
L’assenza della punteggiatura, la sintassi, quasi inesistente, sostituita dalla parola, isolata dallo spazio bianco del microverso, fa da cassa di risonanza che provoca attesa e tensione nelle pause della lettura da un verso all’altro.
Ungaretti trascorrere una notte intera accanto ad un compagno morto e attraverso parole abilmente scelte, ne descrive l’aspetto, sottolineando al tempo stesso il proprio lato umano. Contrapponendo la morte alla vita, viene fuori una dura verità. Ungaretti si ritrova a riflettere sulla propria vita, su quanto in certe occasioni l’attaccamento all’esistenza sia forte ed intenso.
Veglia, scritta il 23 dicembre, si contraddistingue per un richiamo di stampo leopardiano. Nel testo si fa riferimento alla presenza della luna, che illumina il cielo, intesa come “unica speranza” in mezzo alle tenebre. La luna inoltre è probabilmente l’ultima cosa contemplata dal soldato, compagno di Ungaretti, che ormai è morto. La sofferenza è data dai denti digrignati e dalle mani rosse e gonfie,
gli occhi rivolti alla luna quasi a domandare: perché? Perché la morte, perché la sofferenza?
Domande alle quali ovviamente non c’è risposta, a meno che, così come ribadito più volte da Ungaretti, si scelga di “rifugiarsi” nella fede. Ma ciò ovviamente è soggettivo.
Questa poesia può essere definita un “aforisma”, una crudele sentenza: soldati e foglie vivono la stessa condizione. Lo slancio vitale della poesia, scritta il 23 dicembre del 1915 esprime non il rifiuto della morte, ma la ricerca di un’armonia che possa dare una spiegazione, affinché si crei un equilibrio, in questo caso esistenziale. Ciò avviene anche attraverso una serie di immagini deformanti e con l’asprezza fonica che Ungaretti utilizza.
Veglia è un tempo di Vigilia. Vigilia di una festa importante. Natale. Per Ungaretti erano i primi giorni di guerra; un’esperienza durata tre lunghissimi anni. La sua veglia è resa drammatica dalla presenza di un anonimo compagno morto, contrapposizione tra vita e morte, simbolo dei temi cui Ungaretti faceva riferimento nei tanti componimenti.