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Piano sequenza: la vita reale e il cinema

Quando vediamo un film, sappiamo che siamo di fronte ad un’opera di finzione. A comunicarcelo sono in primis i numerosi stacchi tra una scena e l’altra; tuttavia c’è una tecnica che vuole dare alla settima arte una parvenza di quotidianità e di realtà. Si tratta del piano sequenza, un particolare tipo di inquadratura che svolge da sola la funzione di scena e sequenza, motivo per il quale non sono presenti stacchi di montaggio. È una tecnica registica che presenta molte difficoltà, pro e contro. Il piano sequenza si differenzia dal long take (altro tipo di inquadratura che risulta più lunga del normale), il quale si serve del montaggio per alternarsi ad altri piani nella costruzione della scena. Grazie al piano sequenza le immagini scorrono fluide sotto gli occhi dello spettatore, dando l’impressione che quello che si sta narrando coincida con quello che effettivamente è, senza l’intervento di un deus ex machina che selezioni le immagini.

Il cinema tra realtà e creazione

Sono molti i critici cinematografici che ne tessono le lodi, in primis il critico francese André Bazin che ha coniato il termine “piano sequenza” negli anni ’50 in una riflessione sull’opera di Orson Welles. Bazin sosteneva che la vocazione del cinema è la riproduzione della realtà, motivo per il quale sosteneva la necessità che la settima arte registrasse il reale; inoltre affermava che gli stacchi del montaggio, in quanto operazioni che guidano l’attenzione dello spettatore, sono un artificio in cui è evidente la volontà creatrice dell’autore. Il critico invece sottolineava come nella realtà non esista un’entità che tagli e monti le immagini per veicolare significati; le inquadrature lunghe del cinema vanno a riprendere dunque l’ambiguità del reale, dove non tutto è individuabile. La filosofia di Bazin è stata accolta dagli autori della Nouvelle Vague, ma è stata anche criticata da altre scuole di pensiero come quella del teorico e regista Sergej Ėjzenštejn sostenitore del montaggio intellettuale in cui ogni inquadratura dev’essere pregna di senso. Altro pensiero contrario alla visione di Bazin è quello legato al découpage classico in cui gli stacchi servono a creare continuità.

Le difficoltà del piano sequenza

I vantaggi del piano sequenza sono innegabili: la continuità offre un’illusione di realtà, permettendo così una maggiore immersione dello spettatore nella storia che si sta narrando: il tempo della storia coincide con il tempo del racconto. Inoltre, le potenzialità espressive sono molteplici dal momento che dà la possibilità di esprimere il quotidiano (con una forte integrazione tra azione/personaggi/ambiente) e l’introspezione dei personaggi. Tuttavia, altrettanto innegabili sono le difficoltà legate al piano sequenza: richiede una coordinazione perfetta tra i componenti della troupe e basta un solo errore a invalidare minuti o addirittura ore di girato. Per comprendere quanto possa essere complicato basta pensare che ad Arca Russa, un film del 2002, totalmente in piano sequenza hanno collaborato più di 4500 persone, tra cui 22 assistenti alla regia. Motivo per cui è necessario che ci sia una motivazione forte che lega forma e contenuto, per non ricadere nel mero virtuosismo registico.

I piani sequenza più belli della storia del cinema

L’avvento del digitale ha cambiato molte cose: prima girare un film totalmente in piano sequenza era impossibile a causa della lunghezza limitata delle pellicole. Tuttavia, ciò non ha impedito a diversi registi di sperimentare le potenzialità di questa tecnica, tra i quali ricordiamo infatti Orson Welles che oltre al piano sequenza ha adoperato anche la profondità di campo (altra tecnica che secondo Bazin poteva portare il cinema verso un maggiore realismo) e Alfred Hitchcock con il suo Nodo alla gola del 1948, film composto da undici piani sequenza montati tra loro in modo da camuffare gli stacchi.

I protagonisti è un capolavoro del 1992 diretto da Robert Altman in cui c’è un piano sequenza iniziale di 9 minuti e mezzo, i quali mostrano una discussione sui piani sequenza, sul cinema e sulla produzione. Insomma, un inizio meta-cinematografico con una nota satirica.

Sempre girato da Altman, c’è un piano sequenza iniziale anche in Omicidio in Diretta del 1998. Il protagonista è Rick Santoro, interpretato da Nicholas Cage, che si aggira dietro le quinte di un casinò mentre assiste ad un incontro di boxe. Si tratta di un finto piano sequenza di 12 minuti in cui i raccordi sono invisibili.

Uno dei piani sequenza più ambiziosi è quello presente in Arca Russa di Aleksandr Sokurov. Si tratta di un’opera che è riuscita nell’arduo compito di effettuare un unico sequenza di 90 minuti senza tagli in post-produzione. Il regista ha dovuto ripetere per ben quattro volte l’operazione. Il film percorrendo tutte le stanze dell’Ermitage di San Pietroburgo attraversa le varie epoche della storia russa.

Con Birdman del 2014 di Alejandro González Iñárritu, si ha ancora l’impressione di assistere a due ore in piano sequenza. Il film fonde tra loro numerosi piani sequenza di oltre dieci minuti l’uno, ottenendo così un effetto molto realistico. Il regista ha dichiarato di aver adottato questa tecnica registica per dare l’impressione allo spettatore di una “realtà da cui non si può sfuggire”.