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Sindrome da burnout: cos’è e come si affronta?

Il termine “stress” è di solito associato a situazioni di tensione e affaticamento psicologico nella persona, tuttavia, questa è solo una delle due accezioni che può assumere la parola. Esistono infatti due forme principali di stress: l’eustress ossia lo stress positivo, caratterizzato da risposte biologiche e comportamentali che incentivano la concentrazione e il problem solving, incoraggiando la creatività e permettendo prestazioni migliori. L’altra tipologia è invece il distress ossia lo stress negativo causato da un continuo accumularsi di stimoli-stressori che portano l’organismo a sforzi esagerati e innaturali: questa condizione se prolungata nell’ambito lavorativo può provocare la sindrome da burnout.

La sindrome da burnout compare quando c’è un’inadeguata gestione dello stress lavorativo ed è per questo conosciuta anche come sindrome da stress lavorativo o stress lavoro correlato. Il termine burnout di origine inglese, infatti, significa letteralmente “bruciato”, “esaurito” e “scoppiato”, a sottolineare l’impatto psicologico sul lavoratore, portato a identificarsi con la propria professione. Nel maggio 2019, il burnout è stato riconosciuto come “sindrome” ed è stato di conseguenza elencato nell’11esima revisione dell’International Classification of Disease (ICD).

La parola burnout compare per la prima volta nel 1930 nel mondo dello sport per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati o di mantenere quelli acquisiti. Il termine è poi stato ripreso nel 1975 dalla psichiatra americana, Christina Maslach, per definire una patologia comportamentale diffusa tra le professioni ad elevata implicazione relazionale. La Maslach va a definire questa condizione sottolineando la perdita di interesse dell’operatore nei confronti degli utenti con i quali è a contatto, delineando così una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali. I sintomi del burnout vennero poi analizzati tramite il Maslach Burnout Inventory, un test ideato dalla stessa psichiatra che aveva lo scopo di indagare l’intensità del burnout.

 

Le quattro fasi del burnout

La sindrome da burnout ha sintomi che si manifestano in modo graduale attraverso quattro fasi. La prima fase è quella dell’entusiasmo: la persona carica il proprio lavoro di aspettative irrealistiche e un primo segno è l’avere una vera e propria dipendenza da lavoro, sacrificando anche parte del proprio tempo libero. Legate a questa fase sono le aspettative, il credere di riuscire ad ottenere successo e riconoscimenti in breve tempo.

La seconda fase è quella della stagnazione: il lavoratore dopo aver visto deluse le sue aspettative, deluso e amareggiato, inizia ad adottare un atteggiamento più passivo e rinunciatario.

La frustrazione subentra con la terza fase quando la persona avverte un forte senso di inutilità, incapacità di svolgere il proprio lavoro. Spesso compaiono sentimenti di rabbia verso i colleghi, i superiori ma soprattutto verso gli utenti.

La quarta e ultima fase invece vede le giornate lavorative dominate dall’apatia e dal cinismo: ormai il lavoratore si sente svuotato e ciò che prima lo entusiasmava del suo lavoro ora ha perso significato.

I sintomi della sindrome da burnout

A essere colpiti sono soprattutto le professioni di aiuto ossia quelli che hanno un contatto diretto con le persone come medici, infermieri, consulenti, psicologi, assistenti sociali e maestri, ma anche professioni in cui si esige sempre il massimo dell’efficienza e in cui c’è un alto grado di competitività. In generale sono dunque incluse tutte le professioni che prevedono un contatto frequente con il pubblico dal momento che quei lavoratori devono essere attenti alle esigenze degli utenti ed essere disponibili a soddisfarne le richieste. Il lavoro occupa gran parte della giornata e di conseguenza lo stress accumulato durante le ore lavorative incide inevitabilmente anche in tutti gli altri aspetti della vita portando malessere e infelicità. Per questo motivo i sintomi della sindrome da burnout sono sia fisici che mentali dal momento che questa condizione non è la semplice stanchezza abituale dalla quale ci si può riprendere dopo qualche giorno di riposo: ciò che contraddistingue il burnout è proprio la difficoltà nel superare quel grande peso psicologico che è lo stress lavorativo, un peso così ingombrante che chi ne soffre spesso si lascia andare all’abuso di alcol o di sostanze stupefacenti. Nel parlare dei sintomi, si potrebbero dividere in tre categorie: quelli comportamentali, quelli fisici e quelli psicologici.

I sintomi comportamentali sono: assenteismo, stanchezza radicata, resistenza a recarsi a lavoro, isolamento, demotivazione e nervosismo nei rapporti con colleghi, amici e parenti. Le maggiori difficoltà di chi è affetto da sindrome da burnout riguardano infatti proprio la difficoltà a interagire in modo positivo con chi gli sta intorno.

Per quanto riguarda i sintomi fisici invece il lavoratore potrebbe soffrire per via psicosomatica di mal di testa e di dolori alla schiena o gastrointestinali. Inoltre, potrebbe avvertire una stanchezza diffusa anche agli arti inferiori.

I sintomi psichici sono diversi tra cui nervosismo e rabbia, senso di frustrazione, apatia e assenza di emozioni, umore tendente al depresso, nonché tensione e ansia.

Le cause della sindrome da burnout

Le cause risiedono prevalentemente nelle condizioni lavorative, dall’ambiente alla mole di lavoro, dagli orari al rapporto con i colleghi. Le aziende rispecchiano il pensiero comune della società, una società sempre più esigenze dove i risultati sono i veri valori e dove la competizione diventa l’unico modo di interagire con gli altri colleghi. A contribuire all’aggravarsi dello stresso sono infatti le lunghe giornate lavorative, l’inflessibilità dei turni e la monotonia della routine, ma soprattutto le poche opportunità di crescita e la mancanza di incentivi che valorizzino i lavoratori. Di solito si pensa che il burnout sia soprattutto un problema dell’individuo legato ad una presunta debolezza, arrivando a metterne in discussione le competenze lavorative: si tratta dunque di una visione dove l’individuo è il problema e la soluzione è lavorare su di lui o sostituirlo. Vari studi invece dimostrano che il vero problema è il contesto sociale in cui la persona opera. Non andrebbe sottovalutato dunque che la sindrome di burnout potrebbe essere “contagiosa” propagandosi dall’utenza all’èquipe, da un membro dell’èquipe all’altro e dall’èquipe agli utenti, danneggiando l’intera organizzazione, anche a livello economico.

Come guarire dalla sindrome da burnout?

Sicuramente, per prevenire questa condizione, sarebbe meglio intervenire sia sull’individuo che sul contesto lavorativo ragionando dunque anche sugli aspetti più prettamente economici: un lavoratore in burnout rende di meno e non collabora nel contesto del lavoro di gruppo. Un modo per limitare il burnout da parte delle aziende sarebbe dunque evitare il sovraccarico di lavoro e premiare la produttività affinché i lavoratori si sentano gratificati. Per quanto riguarda il singolo individuo è raccomandato l’affidarsi alla figura di uno psicoterapeuta e al suo supporto professionale. Tuttavia ci sono diversi modi per prevenire la sindrome da burnout come il ricercare uno stile di vita equilibrato, concedendosi quando necessario del tempo libero, cercare supporto nelle persone care e lavorare sulla propria autostima. Nell’ambito lavorativo inoltre aiuterebbe il migliorare le relazioni con i colleghi. Infine da non sottovalutare c’è il valutare la possibilità di cambiare lavoro.