“Nope” l’intrattenimento infinito, distribuito nelle sale l’11 agosto ha avuto un grande effetto sul pubblico. I cinefili hanno trovato il loro tormentone dopo il debutto negli Stati Uniti. Fondatore di una nuova estetica cinematografica, consapevole e orgogliosamente black, accumulatore di cliché, nella sua versione post-postmoderna, il terzo lungometraggio di Jordan Peele ha spopolato.
Il film esibisce una dimensione metadiscorsiva, Peele ambienta il film nel cuore dell’America bianca, ad Ovest, un luogo di frontiera ma anche ad Hollywood dove il confine tra realtà e finzione è molto sottile e tutto fa spettacolo.
Tutto è uno show, dunque. Tutto è esibizione, intrattenimento. Nope è il film in cui Peele sfodera senza remora alcuna il proprio arsenale teorico e citazionistico. Nope è un film sullo sguardo, un film politico, una ennesima riscrittura della Storia del cinema americano.
In realtà, come sempre, Peele gioca con ciò che ama da spettatore, senza troppe distinzioni fra cultura alta e cultura bassa. Nope si presenta come una rivisitazione, aggiornata al XXI secolo, del più classico dei topoi nella storia delle immagini: l’occhio della Medusa. Nel film di Peele tutti vogliono guardare, quasi fossero animati da una irresistibile e forse patologica ossessione scopofila. Jordan Peele, un bravo regista che ogni tanto finisce per essere un cattivo auteur.
Jordan ha lanciato film appassionanti, lugubri e manipolatori sia a livello psicologico che coinvolgente, gli esiti delle storie sono prevedibili ma coinvolgenti. I protagonisti spesso hanno il loro black feeling e in Nope c’è dell’incredibile horror.
I protagonisti, Oj e Em, ereditano un ranch con dei cavalli. Il problema è che nel cielo sopra il ranch, c’è una nuvola che non si muove mai; spostandosi e inghiottendo chi la guarda.