Scoperta una pozza mortale a 1.770 metri di profondità, nel Mar Rosso.
L’università di Miami, durante uno studio fatto sul fondale marino nel Golfo di Agaba,un’estensione settentrionale del Mar Rosso, ha fatto una strabiliante scoperta: è stata trovata una pozza di salamoia a più di mille metri di profondità.
Il team che ha condotto lo studio fa parte di una spedizione di OceanX, che ha condotto lavori scientifici nel Mar Rosso utilizzando la nave da ricerca marina OceanXplorer. OceanX conduce ricerche nel Mar Rosso da febbraio di quest’anno, effettuando caratterizzazioni degli habitat, inventari della biodiversità e mappature estensive.
“Siamo stati molto fortunati! La scoperta è arrivata negli ultimi cinque minuti dell’immersione ROV di 10 ore che mi abbiamo potuto dedicare a questo progetto. Eravamo vicini alla rinuncia…si vede che se sei in fondo al mare e hai ancora 15 minuti, vai avanti… non sai mai cosa c’è dietro l’angolo.”
La pozza di salamoia è una depressione nel
fondale marino, piena di acqua salata altamente concentrata, da tre a otto volte
più salata dell’oceano circostante; ciò vuol dire che non vi è ossigeno, il che significa che qualsiasi pesce che nuoti all’interno viene immediatamente ucciso, a causa del livello salino alto, ma anche perché sono presenti sostanze chimiche velenose come l’acido solfidrico. Un’altra caratteristica importante è che la salamoia ha un effetto conservante: i ricercatori hanno trovato un granchio morto da otto anni ma che aveva ancora i suoi tessuti molli intatti.
“A questa grande profondità, di solito non c’è molta vita sul fondo del mare. Tuttavia, le pozze di salamoia sono una ricca oasi di vita. Spessi tappeti di microbi supportano una serie diversificata di animali”.
Le pozze salate danno informazioni su terremoti e tsunami del golfo di migliaia di anni fa. Infatti, ad Aqaba, sono presenti molte fratture e faglie. A inizio 2022, Purkis e il team hanno rilevato una frana sottomarina di 500 anni scatenante uno tsunami fra quelli storici. Dall’altra tale frana potrebbe essere coinvolta nell’evoluzione delle coste in Egitto e Arabia Saudita.
“Ma la nostra scoperta di una ricca comunità di microbi che sopravvive in ambienti estremi può aiutare a tracciare i limiti della vita sulla Terra e può essere applicata alla ricerca della vita altrove nel nostro sistema solare e oltre” – ha affermato il dottor Purkis, professore e presidente del Dipartimento di geoscienze marine della messaggistica unificata.