Il 31 gennaio del 1854 ci lasciava Silvio Pellico. Personaggio illustre nella storia italiana, per le sue abilità e doti di poeta, scrittore e patriota italiano.
Nato il 24 giugno 1789 a Saluzzo (Cuneo), Silvio crebbe insieme ad altri quattro fratelli e con una impostazione educativa cattolica impartita dalla madre. Uno dei suoi fratelli, Francesco, infatti, divenne gesuita; mentre le sorelle Giuseppina e Maria Angiola presero i voti. Il primogenito, invece, Luigi Pellico, si dedicò alla carriera politica, condividendo con Silvio Pellico idee e passioni letterarie.
Nel 1799, a dieci anni, Silvio si trasferì a Torino, a causa del fallimento dell’attività del padre. Successivamente, i genitori lo spedirono in Francia, con il fine di specializzarsi nel settore commerciale; si stabilì a Lione. Una volta abbandonato il settore commerciale, tuttavia, Silvio si interessò alle discipline classiche e letterarie, appassionandosi ad autori come Ugo Foscolo e Vittorio Alfieri.
Rientrato in Italia, nel 1809, si accodò alla sua famiglia e partì per Milano, città in cui suo padre aveva trovato lavoro nel Ministero della Guerra del Regno d’Italia.
A Milano, Silvio Pellico intraprese la carriera di insegnante di francese presso il collegio militare, cominciando a comporre tragedie in versi di impianto classico. Proprio a questo periodo, risalgono opere come Laodamia ed Eufemio di Messina.
In seguito alla caduta del regime napoleonico, Silvio perse la cattedra da insegnante di francese.
Il 18 agosto 1815 a Milano, debuttò la sua tragedia Francesca da Rimini, la quale reinterpretava l’episodio dantesco in chiave romantica e risorgimentali del periodo lombardo.
Dopo la perdita del lavoro, si trasferì ad Arluno, nella casa del conte Porro Lambertenghi. Qui ebbe l’opportunità di frequentare salotti intellettuali e culturali e di avvicinarsi a idee risorgimentali, rivolte alla possibilità di indipendenza nazionale.
Divenne, perciò, nel 1818, redattore e direttore della rivista Il Conciliatore.
L’ARRESTO DI SILVIO PELLICO
Silvio Pellico aderì alla setta segreta dei Federati, motivo per il quale venne intercettato dalla polizia austriaca, che arrestò proprio Pellico, Piero Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri “adepti”.
Finì in prigione a Venezia e, poi, a Murano, dove rimase fino al 1821.
Il 21 febbraio 1821 ci fu la sentenza del celebre Processo Maroncelli-Pellico, nel corso della quale fu chiesta per entrambi la pena di morte. Pena che fu poi commutata in venti anni di carcere duro per Maroncelli, e quindici anni per Silvio Pellico.
Durante questa esperienza, Pellico rimase profondamente colpito, tanto da scrivere Le mie prigioni, opera di enorme successo e di notevole calibro in ambito risorgimentale che fu scritta e pubblicata dopo l’avvenuta scarcerazione.
Una volta scarcerato, nel 1830, Pellico pubblicò altre tragedie, come Gismonda da Mendrisio, Leoniero,Erodiade, Tommaso Moro e Corradino.
Venne quindi assunto dai marchesi di Barolo, Carlo Tancredi Falletti e Giulia Colbert e rimase a Palazzo Barolo, fino alla morte che sopraggiunse il 31 gennaio 1854.
Silvio Pellico riposa tutt’ora presso il Cimitero monumentale di Torino.