La storia della cucina degli italiani si è saputa adattare nel tempo, durante le esigenze dei periodi meno floridi della sua storia come le crisi economiche del regime fascista e le problematiche durante il secondo conflitto mondiale, che ha comportato l’affrontare drastici cambiamenti alimentari per la sopravvivenza della popolazione civile e di coloro che combattevano sul campo.
Tali fenomeno culturali e gastronomici vennero monopolizzati attraverso la produzione di riviste, a partire da quella ufficiale e di regime come “Gerarchia”, interessate a indicare e ordinare oltre il costume, anche la dieta degli italiani, con il boicottaggio di prodotti alimentari stranieri di paesi nemici e l’ingresso di prodotti della vicina Germania Nazista.
Mere riviste di ambito culinario dietro cui il regime impartiva i pasti da scegliere sulla tavola furono, oltre proclami propagandistici come “Non sciupate il pane” o “la minestra e femmina”, tra gli anni 1933-36 “Cucina pratica” e successivamente largo proselitismo tra le massaie italiane “Le ricette di Petronilla”.
Le pietanze della cucina degli italiani maggiormente avallate furono nel Ventennio l’esplosione della minestra e del polpettone, in cui tra riutilizzo di verdure e prodotti dell’orto, legumi e pane.
Il polpettone divenne il piatto emblema della tavola fascista, frutto dell’assennata donna, capace di riunire l’insieme dei costumi italiani prediletti dal regime autarchico e antitetico al lusso alleato e giudaico.
In particolare, con l’ingresso italiano nel maggio 1940 nella bolgia della seconda guerra mondiale, per poter reggere i cambiamenti che ad essa subentrarono, il fascismo iniziò a produrre delle riviste che prevedevano alcune pratiche per mettere in tavola prodotti alternativi al pasto quotidiano che oltre il riciclaggio degli avanzi, prevedevano la sostituzione dell’olio, ritenuto all’epoca un bene pregiato, con grassi animali, burro e strutto prodotto in abbondanza, grande consumo venne dato alle uova, rimodulate in numerose ricette.
Oltre Pietronilla, nacquero l’Almanacco Culinario, Eva, La donna fascista, allo scopo di educare il popolo ad un uso alimentare energico, modesto e capace di contribuire alla forza militare del regime.
Per rendersi conto dell’impatto del regime sulla dieta italiana va avallato il ruolo che ebbe il pane. Se nella fine 800’ era un metro sociale ed economico, con il fascismo di regime mutò la sua preparazione.
Durante questo periodo la dieta italiana subì un progressivo allontanamento dalla carne bovina, fino alla sua scomparsa, che dapprima fu sostituita dal pollame e dalla carne suina e successivamente rimase solo il pollame.
Il coniglio scompare già intorno agli anni 30’ dietro le sanzioni scattate contro l’Italia mussoliniana per l’invasione dell’Etiopia, sostituito da prodotti a base di pesce a lunga conservazione, come alici, merluzzo e baccalà.
Nelle aree di Venezia venivano cacciati e mangiati i piccioni, piatto che nel tempo ha subito molti cambiamenti arrivando alle tavole odierne, principalmente nelle aree centro settentrionale.
Altro fatto riguardante la cucina italiana ai tempi del regime è documentato da alcuni collegi e riformatori che durante il fascismo prevedevano solamente un bicchiere di latte e una patata, semplicemente bollita, senza sale e senza olio. Esemplare in tal merito è la documentazione nella pellicola di Nanny Loy con “Le quattro giornate di Napoli”.
Connotativa del periodo è la preparazione del sugo o del ragù che con la progressiva perdita della carne, destinata alle truppe (foraggiamento alle truppe) prevedeva, sopratutto nelle città, un sugo a base di sedano, carote e cipolla.
Un avvenimento che coinvolse il Mezzogiorno e in particolare i napoletani riguardava la preparazione del caffè, inizialmente miscelato o sostituito con l’orzo e successivamente prodotto tramite la tostatura della cicoria con il vero Frank, distribuito tramite alimentari organizzati dal regime.
Durante gli anni 42-44, fuori gli spacci alimentare il cibo veniva distribuito tramite un apposita scheda rilasciata dal PNF (Partito Nazionale Fascista) razionalizzando così la distribuzione e la compravendita dei prodotti alimentari.
Per porne un esempio di questa distribuzione basti pensare che a ogni fuoco (cioè a ogni nucleo familiare) erano previsti 250 gr di pasta e 750 ml di olio d’oliva.
Oggi, alcune di queste “ricette” permangono nella tradizione culinaria italiana, altre hanno subito cambiamenti ed evoluzioni, mentre altre sono del tutto scomparse.