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Ivan Aivazovsky e le onde traslucide della Baia di Napoli

“La mia vita è il mare”, affermò Ivan Aivazovsky, all’età di 17 anni.

Ivan Konstantinovič Aivazovsky è un noto artista russo, che verrà nominato pittore ufficiale dello Stato Maggiore della Marina Zarista.

Nacque il 17 luglio 1817, nella città di Feodosia, in Crimea, allora facente parte dell’Impero russo.

Il padre, Konstantin, era un mercante armeno, insediatosi a Feodosia, ad inizio ‘800; la madre, Ripsima, era anch’essa nativa dell’Armenia.

La coppia ebbe 5 figli, tra cui Ivan.

Il giovane Ivan venne educato alla scuola parrocchiale presso la chiesa di San Sergio, per poi approdare allo studio del disegno sotto la coordinazione dell’architetto Jacob Koch.
Passò al ginnasio russo di Sinferopoli, per poi iscriversi nel 1833 all’Accademia Imperiale delle Arti di San Pietroburgo, dove frequentò la scuola di pittura curata  da Maxim Vorobiev.

Questi rappresentarono anni molto determinanti e fecondi per Ivan: conobbe il poeta russo Aleksandr Puškin, ottenendo la sua considerazione.
Acquisì una vastissima cultura figurativa, tanto da conseguire brillantemente il diploma due anni prima del previsto, nell’ottobre 1837.

Giudicato meritevole, al termine del percorso di studi, l’Accademia decise di offrirgli una borsa di studio di perfezionamento, all’estero.

Prima di partire, tuttavia, Ajvazovskij, venne inviato in Crimea per dipingere le città sul litorale. Fu questa opportunità che propiziò l’indissolubile legame con l’elemento acquatico, che esercitò su di lui un’attrazione quasi fatale: conobbe anche Mikhail LazarevPavel Nakhimov e Vladimir Kornilov, ammiragli della flotta russa, per la quale Ivan sviluppò un’ardente devozione.

Ivan Aivazovsky lasciò la Crimea alla volta del Continente nel 1840.
Fece tappa a Berlino e Vienna, e decise di stabilirsi a Venezia, dove si recò sia per il suo immenso patrimonio artistico, che per ricongiugersi al fratello Gabriel.
Proprio a Venezia, il pittore ebbe l’occasione di incontrare il romanziere russo Nikolai Gogol.

Dopo aver abbandonato la città della laguna, si recò a Firenze, percorrendone gallerie e musei.

Successivamente, si sospinse sino al golfo di Napoli: rimase ammaliato dalla sua selvaggia bellezza; NapoliSorrentoAmalfi e l’isola di Capri furono luoghi che egli visitò e ritrasse tutti.

Poco dopo giunse a Roma, e qui dipinse l’opera Caos: Creazione del mondo.
La tela fu immediatamente notata ed apprezzata da Papa Gregorio XVI, sia per la validità artistica che per la concettualità spirituale: infatti si propose ad Ivan come acquirente, al fine di introdurla nella collezione artistica vaticana.
Aivazovsky, però, declinò ogni forma di pagamento in denaro e ne fece dono al pontefice, il quale, in segno di riconoscimento, lo insignì di una medaglia d’oro.

Ivan ebbe un tale sfavillante successo a Roma che, in tempi brevissimi, la notizia giunse anche all’attenzione di Nikolaj Vasil’evič Gogol, che commentò a tal modo la vicenda: “E bravo Vanja! Sei arrivato a Roma dalle rive della Neva che non eri nessuno e subito hai suscitato il Caos in Vaticano!”.

L’influenza dell’arte italiana sul suo stile pittorico fu fondamentale, tanto che non poté esimersi dal dichiarare che il patrimonio artistico e museale del Bel Paese valsero per lui come una “seconda accademia”.
In ogni caso, Aivazovsky dovette abbandonare Lo Stivale e, attraversando SvizzeraGermania, fece tappa in Inghilterra, dove giunse nel 1842.

A Londra consolidò una forte amicizia con l’artista William Turner che risultò stregato alla visione della Baia di Napoli al chiar di Luna”, per qual motivo decise di dedicargli un appassionato poema:

Somma artista, mi perdona
Se un artista s’ingannò!
Nel delizio della mente
Mi sedusse il tuo lavor
L’arte tua ben’ e potente
Perché il genio t’inspirò!

Produzione Pittorica

Ajvazovskij viene considerata la “macchina fotografica” di tutte le grandi battaglie, oltre che dell’evoluzione della flotta zarista.
Le sue grandi tele storiche, commemorative, sono custodite al Museo della Marina Militare di San Pietroburgo.

In effetti, però, per la produzione artistica di Ajvasovskij, non esiste paragone meno appropriato di quello con la fotografia.

Ivan possedeva una memoria visiva formidabile: osservava, incamerava, riproduceva, con una vena tipicamente romantica. Padroneggiava una perizia tecnica inimitabile nel ricreare la distesa del mare, il bianco delle creste, le trasparenze della superficie, il nero delle profondità.

Da notare, però, che il tutto si accompagna sempre a un uguale fascino per la luce.

Infatti, non si conformerà mai all’evoluzione artistica contemporanea: per Ivan, il passaggio dal romanticismo al realismo non è mai avvenuto, e tutti gli elementi dei suoi quadri sono espressione di una realtà interiore, infatti venne aspramente contestato dalla critica contemporanea.

Egli subì fortemente l’influsso esercitato dai pittori classici, tra i quali il napoletano Salvator Rosa.
La sua adesione al gusto romantico incide su molteplici parvenze della sua produzione pittorica: il drammatico uso dei colori, l’inclinazione a raffigurare grandi scene drammatiche, l’esaltazione dell’estetica del Sublime, i raffinati effetti dei giochi di luce (Ivan si dilettava con i colori e con la luce, in maniera tale da ottenere un realismo magico che, in seguito, fu ampiamente impiegato anche nell’arte fotografica).

Si pensa che per il popolo armeno, il mare, sia il simbolo massimo della libertà, l’elemento del quale l’Armenia storica, che si estendeva dal Mar Nero al Mediterraneo, è stata privata.

In tutte le innumerevoli tempeste, per quanto le onde siano nere e alte, per quanto il cielo sia cupo e le nuvole appaiano cariche e pesanti: è lo stesso flebile, ma granitico, barlume di speranza che rappresenta le aspirazioni del popolo armeno.

Ivan Ajvazovskij venne intimamente commosso dalla notizia dei massacri hamidiani, perpetrati dal 1894 al 1896 ad opera del sultano ottomano Abdul Hamid II, per cui si decise a realizzare alcuni dipinti per commemorarne le vittime: Massacro degli armeni di Trebisonda nel 1895; Armeni gettati vivi nel mar di Marmara; Armeni bruciati vivi dentro una nave.
Infine, sopraffatto dal rancore e dall’indignazione, gettò a mare anche tutte le onorificenze che gli erano state conferite dalla Turchia.

Durante i suoi sessanta anni di carriera, il lascito di Ivan Aivazovsky è stato di circa 6000 dipinti.
La maggior parte dei quali, è a tema marino.
Raramente dipinse paesaggi terrestri.
Ha eseguito solo una manciata di ritratti.

Una sua peculiarità è che non ha mai dipinto bozze.
Tutti i suoi dipinti hanno attraversato un proscenio, dagli abbozzi agli ultimi ritocchi. Inoltre, ogni opera è stata scritta in bianco, perciò, numerosi dipinti risultano vagamente contraddittori.
Lo stesso Ivan ha spesso provveduto a riscrivere le immagini, dando vita ad interi cicli.

Ivan Aivazovsky ha un altro nome altrettanto noto: Hovhannes Ayvazyan.

Hovhannes viene “dipinto” dal Dizionario Enciclopedico Brockhaus ed Efron, come il “miglior pittore di paesaggi marini russo”.
Quantunque sia – stando alla dichiarazione della critica d’arte Janet Whitmore – relativamente sconosciuto in Occidente, in Russia il suo nome è sinonimo di arte e bellezza: tale che l’espressione “esser degno del pennello di Aivazovsky” viene utilizzata aforisticamente per indicare qualcosa di piacevole e delizioso.