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Microplastica: di cosa si tratta? Effetti e soluzioni

Ogni anno, nei mari UE finiscono tra le 150mila e le 500mila tonnellate di rifiuti in plastica, e solamente un’esigua percentuale (meno dell’1%) di tutti i rifiuti plastici galleggia in superficie.  Il restante 99%, quello che viene discriminato alla nostra vista, alberga direttamente sul fondale marino, entrando a far parte della nostra catena alimentare con migliaia di piccolissimi frammenti di plastica che ingeriamo ogni giorno.
Stando ad una dichiarazione del WWF, ingurgitiamo quotidianamente fino a 5 grammi di particelle di microplastica.

 

Uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology afferma che “consumiamo” ogni anno un quantitativo di micro-particelle compreso tra i 39.000 e 52.000. Annettendo le stime della microplastica inalata, la cifra sale a oltre 74.000.

I materiali utilizzati per pescare costituiscono uno dei problemi più ingenti, poiché circa il 27% dei rifiuti plastici che si trovano nei fiumi e nei mari sono derivanti dalle attività di pesca ed acquacoltura.

Alcuni anni fa Richard Kirby– scienziato indipendente e film maker- è riuscito a immortalare il momento esatto in cui un frammento di microplastica viene ingerito da un minuscolo organismo marino che fa parte del plancton, introducendosi così nella catena alimentare. Attraverso il plancton, la microplastica viene ingerita anche da tutti gli organismi che di esso si nutrono, ed alla stregua di una serie di passaggi giunge fino alle nostre tavole.

Le microplastiche, però, non arrivano soltanto dal mare, ne sono state trovate tracce anche nel miele, nella birra, nel sale da cucina e perfino nell’acqua in bottiglia, come dimostrano i risultati di un’indagine svolta in collaborazione con la State University of New York di Fredonia.

Oltre alle azioni del singolo consumatore, che curva nella direzione di ridurre la plastica monouso, anche le istituzioni sono e saranno chiamate a dare il buon – se non ottimo – esempio.

Gli effetti sulla salute a lungo termine di questi minuscoli frammenti non sono ancora del tutto noti, ma le autorità di tutto il mondo si stanno attivando per cercare di porre un freno all’inquinamento da microplastica e nanoplastica.

Nel 2017, uno studio del King’s College di Londra ipotizzò che, nel tempo, l’effetto cumulativo dell’ingestione della plastica potrebbe essere tossico. I vari tipi di plastica hanno diverse caratteristiche di tossicità. Alcuni sono fatti di sostanze chimiche tossiche (come il cloro), mentre altri catturano nell’ambiente tracce di sostanze chimiche (come ad esempio il piombo). Si stima che l’accumulo di queste tossine, col passare del tempo, potrebbe avere effetti sul sistema immunitario ed influire negativamente sugli equilibri dell’organismo.

In questa logica si inserisce la politica europea in vigore già dal 2018, che ha introdotto delle limitazioni ai sacchetti di plastica per la spesa.  A partire da quest’anno, altresì, la proposta della Commissione Europea si prefiggerà di impedire l’utilizzo di microplastiche nei cosmetici e nei detergenti, ed il divieto assoluto e graduale di plastica monouso.

Ultima in ordine di tempo è la risoluzione non legislativa approvata dall’Europarlamento per limitare l’inquinamento dei corsi d’acqua europei. Tale risoluzione invita gli Stati membri a creare un Fondo speciale per la pulizia dei mari, gestito dal Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA) con l’obiettivo di raccogliere i rifiuti marini e prevedere aree di deposito nei porti.

Ogni prodotto che finisce in mare equivale ad un prodotto che uscirà per sempre dal ciclo dell’economia circolare e che perde, per tanto, la possibilità di essere riutilizzato trasformandosi in una risorsa.

Tuttavia, se la riduzione e il corretto smaltimento della plastica non avverrà anche nella pesca – in relazione agli strumenti utilizzati per tutte le attività ad essa connesse, come le reti marine che costituiscono un abnorme rischio per alcune specie marine – non otterremo mai un oceano sano e produttivo.

Per tale motivo Project Aware, un agglomerato di associazioni ambientaliste no profit, ha lanciato un nuovo piano di salvataggio per l’europa, per rendere i nostri oceani in salute entro il 2030.