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L’amor amaro di Giuseppe Capaldo

Nato a Napoli nel 1874, Giuseppe Capaldo fu il primogenito di 5 figli. I genitori, Filomena e Raffaele erano i proprietari di un piccolo ristorante nella zona del porto, il Piliero.

Dopo aver conseguito la licenza elementare, iniziò ad aiutare i genitori della loro attività come cameriere.

Fu all’età di 18 anni che Giuseppe, innamoratosi della vicina, giunta ad onor di cronaca con il vezzeggiativo di Vincenzella, le scrisse dei versi divenuti una canzone che oggi riecheggia come eponima della musica partenopea, ‘ Comme facette mammeta’.

Questa canzone, scritta nel 1906 per l’amata vicina di casa, è sinonimo di un amor ferito. La donna, infatti non nutriva alcun interesse nei confronti del poeta innamorato. Ciononostante fu inviata al Comitato di festeggiamenti per la Madonna del Carmine, dove fu giudicata come miglior canzone.

Musicata da Salvatore Gambardella, considerato uno dei padri della canzone napoletana, il cui talento lo portò a collaborare con poeti e parolieri di elevata pregnanza intellettuale e letteraria dell’epoca come Ferdinando Russo, Eduardo di Capua, Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio e Aniello Califano, portando ‘Comme facette mammeta’ a classificarsi seconda al Festival di Piedigrotta. 

Nel corso degli anni, di questa canzone sono state fatte innumerevoli versioni, tra cui si ricorda quella in stile rock ’n roll eseguita dal duo musicale I Due Corsari, ovvero Enzo Jannacci e Giorgio Gaber.

Nello stesso anno Capaldo scrisse anche ‘Cinematografì, Cinmatografà’, musicata da Eduardo Galgani, questa rappresentò una vera e propria denuncia dei danni causati dal cinema agli artisti dei cafè chantant come il Salone Margherita.

Ma nonostante il suo talento, Vincenzella non si interessò mai al poeta e in nessun modo; anzi dopo qualche tempo, fu proprio Giuseppe a riceverne una. 

Scoprì che suo fratello Pasquale e la sua amata Vincenzella si erano fidanzati e che suo fratello aveva intenzione di farla diventare sua moglie.

Tale fu la delusione del poeta, che da quel colpo di fulmine fece nascere una delle più celebri canzoni popolari, tanto da spingerlo a lasciare il lavoro da cameriere presso l’azienda di famiglia.

Eppure lavoro, amore e soprattutto poesia a Napoli subiscono il “cuore mangiato”.

Giuseppe Capaldo lavorò come cameriere in svariati locali, tra cui il ‘Caffè Turco’ che successivamente cambiò nome in ‘Caffè Tripoli’ in onore della conquista della Libia del 1912.

Nel cafè Capaldo si esibiva con le sue canzoni, data l’opportunità fornitagli dallo stesso locale adibito con una pedana per l’orchestra.

Un giorno, dopo che Capaldo ebbe finito di cantar le sue canzoni, alcuni clienti gli chiesero chi ne fosse l’autore. Alla risposta del poeta nessuno gli credette, dato che lui era solo un umile cameriere.

Tanta fu la rabbia che Giuseppe Capaldo si tolse la giacca bianca e disse:”Basta! Da questo momento non sono più un cameriere.

Ma per poter sbarcare il lunario, Capaldo doveva racimolare almeno qualche soldo ed allora si impiego nuovamente come cameriere presso il caffè Portoricco in via Guglielmo Sanfelice, al centro di Napoli.

In questo caffè conobbe Brigida, avvenente ma scontrosa cassiera che affascinava ogni uomo che vi entrasse dalla porta. Per lei Capaldo compose la canzone ‘A tazza ‘e cafè’ del 1918 che fu musicata dal Cavalier Vittorio Fassone. 

La canzone ebbe talmente successo che fu cantata e incisa da molti artisti, tra i quali figurano Roberto Murolo, Maria Paris, Claudio Villa, Bruno Venturini, l’Orchestra Italiana di Renzo Arbore, Milva e Gabriella Ferri.

Le canzoni, la poesia di Giuseppe Capaldo è riuscita a racchiudere nelle sue parole quello che era lo spirito della sua gente anche dinanzi al dramma amoroso-sentimentale.

Definito come un poeta ‘istintivo popolaresco’, ebbe il senso del suo tempo e del suo popolo. La sua capacità di sintetizzare in versi rappresentava in tutto uno dei tratti principali del carattere dei napoletani.