Parla Aldo Iacobucci, titolare di una delle pasticcerie in zona Santa Lucia, storico borgo del quartiere San Ferdinando di Napoli.
Un’attività aperta oltre vent’anni fa e chiusa da marzo, in ottemperanza alle disposizioni governative contro la diffusione del Coronavirus.
Non nasconde la sua rabbia, dichiarando che il periodo più proficuo risulta ormai trascorso.
“Nessuno pensa alle pasticcerie. Finora hanno parlato solo grandi ristoratori o pizzaioli. Lo stato ci ha promesso dei fondi, che ancora devono arrivare. Ma io devo pagare dipendenti, fitto, bollette mai sospese e tasse. Abbiamo perso le festività più importanti: San Giuseppe e Pasqua. Servono a noi pasticcieri per mettere soldi da parte in vista dei mesi estivi, dove notoriamente abbiamo più difficoltà, vendendo uova di cioccolato, pastiere napoletane e le tipiche zeppole di San Giuseppe. Invece non abbiamo messo nulla da parte, anzi, abbiamo perso soldi. In questi giorni si sente parlare solo di grandi attività. Ma per il piccolo le spese sono tante: troppe, in proporzione agli incassi. Credo di parlare a nome di tutta la categoria dei piccoli pasticcieri. Di questo passo molti rischiano di non aprire più”.
Insomma, una crisi che ha investito molteplici settori del nostro Paese.
Il vivere ogni giorno con la consapevolezza di un presente difficile e di un futuro incerto, nella speranza che le cose cambino.
Perché insieme alle pasticcerie, si assisterebbe alla perdita non soltanto di tradizioni culinarie, ma anche storiche e culturali, che erano, e si spera torneranno ad essere, parte integrante della nostra vita e della nostra quotidianità.