La coppia di artisti Sergio Gioberto e Marilena Noro presenta ‘Colori nel Vuoto’, alla Galleria Alfonso Artiaco a Napoli, presso Piazzetta Nilo (http://www.alfonsoartiaco.com/).
Si tratta di un’esposizione capace di osservare come il Vuoto sia necessario alla visibilità dell’architettura che lo ospita e, contemporaneamente, come le de-limitazioni poste dalle strutture architettoniche siano necessarie al Vuoto per esistere.
“Il titolo ‘Colori nel Vuoto’ è un riferimento (letterale) all’uso (fisico) di diaframmi colorati e trasparenti anteposti (nel vuoto) tra le sorgenti luminose e i soggetti da illuminare” spiegano gli artisti.
I due artisti sono interessati a indagare il passaggio dall’acquisizione numerica e immateriale dell’immagine alla sua trasposizione materica su di un supporto fisico quale è la carta di cotone opaca colta nel suo dialogo con gli inchiostri a pigmenti.
Marilena Noro e Sergio Gioberto sono nati a Torino, rispettivamente nel 1961 e 1952. La fotografia, medium prescelto, è vista dagli artisti sia come espressione dell’alienazione dell’Occidente sia come possibilità di recupero della realtà fisica.
Nelle quattro sale dedicate a Gioberto e Noro, si susseguono una decina di nuove opere dai cicli Farben, Vanishing Point e Variazioni Primarie.
“Il nostro campo visivo, nel corso degli ultimi seicento anni ha progressivamente subito una metamorfosi, passando dalla forma fisiologica dell’ellisse a quella culturale del frame, della cornice. In questo modo lo sguardo è stato protetto dalle irruzioni dell’irrazionale, ma contemporaneamente è stato “imprigionato” nella cosiddetta finestra prospettica. È per questo motivo che usare un medium a forte valenza prospettica come quello fotografico, ci pare essere una possibilità di riflessione sulle dinamiche del vedere” affermano i due artisti.
E continuano: “Percepiamo il Colore come un’Entità dotata di intelligenza e quindi, per estensione, capace di generare Intuizioni e il Vuoto come a una Realtà in grado di ‘pulire lo sguardo’, di liberare lo sguardo da tutto ciò su cui quello sguardo si era formato.”
“Abbiamo immaginato il Vanishing Point, il punto di fuga, come al luogo in cui la figura svanisce per dare spazio al puro Colore. Per fare questo è stato necessario assemblare un dispositivo, una vera e propria Machine à Abstraire, che va a porsi in rapporto dialettico con le macchine prospettiche, nate invece per rilevare e misurare lo spazio. Una Machine à Abstraire che crea spazi del divenire, luoghi in cui possiamo ritrovarci con l’istante della creazione, quando tutto è possibile e nulla è ancora accaduto” conclude la coppia torinese.