La sigaretta elettronica, anche nota come e-cig, miete la sua prima vittima in Illinois, Stati Uniti.
Si tratta di un uomo adulto ricoverato nel mese d’agosto con una grave patologia polmonare. Non è pubblica l’identità dell’individuo né tantomeno quale apparecchio o prodotti avesse utilizzato.
La vicenda si colloca tra altre dello stesso tipo, in una serie di affezioni respiratorie, arrivando a contare 193 casi in 22 Stati americani, tra cui California, Connecticut, Florida, Illinois, Indiana, Iowa, Minnesota, Michigan, North Carolina, New Jersey, New Mexico, New York, Pennsylvania, Texas, Utah, Wisconsin.
Colpita in special modo la giovane età, stando ai dati del Cdc (centro per la prevenzione ed il controllo per le malattie).
In Illinois 22 i casi accertati, il range interessato riguarda giovani tra i 17 ed i 38 anni, 12 invece i casi sospetti.
I sintomi ricorrenti sono tosse, fiato corto, affaticamento, vomito e talvolta diarrea.
Tuttavia non si è ancora del tutto sicuri che tali patologie siano correlabili all’e-cig, a delle sostanze presenti in essa, o ancora, a delle altre contaminanti.
Potrebbe trattarsi di ingredienti contenuti negli aromi, dannose per i polmoni, come il diacetile.
I soggetti hanno in comune il fatto di aver fatto uso di liquidi addizionati con Thc (Tetraidrocannabinolo), principio attivo della cannabis.
Francesco Cognetti, direttore di Oncologia presso l’ospedale Regina Elena sostiene:
“Ci sono diversi tipi di malattie ai polmoni, ed è difficile attribuire una correlazione all’uso di e-cig in un singolo caso. Inoltre la maggior parte delle sigarette elettroniche ha dimostrato minor rischio cancerogeno rispetto alle sigarette classiche, soggette a combustione”.
Gregory Conley, presidente della American Vaping Association, si dichiara “fiducioso” nei confronti della scoperta che il danno potrebbe essere riconducibile a speciali liquidi contenenti droghe e non ai classici contenenti nicotina.
l’Organizzazione mondiale della sanità punta a ridimensionare la vendita delle sigarette elettroniche in quanto ritenute “indubbiamente dannose”, così che anche la Food and drug administration (Fda) si è mobilitata per una maggiore regolamentazione.