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Bacchanalia, la pericolosità del culto

Il Baccanale, o come veniva denominato in latino Bacchanalia, era una festività propiziatoria tipica romana dedicata al dio Bacco. L’etimologia del suo nome di origine romana dimostra questa correlazione con il dio, ma l’origine del culto è ben più remota.

Si pensa che i riti possano addirittura risalire alla Magna Grecia, dove questa usanza sembrava essere già fortemente radicata all’interno del territorio campano e di quello lucano.

La particolarità del rito risiede nella natura orgiastica dello stesso, attestata già in epoca romana, e probabilmente anche prima, che solo in un secondo momento divenne un rito propiziatorio degli dei in occasione della semina e della raccolta delle messi, forse con l’intento di ritornare alle originali funzioni rituali.

L’usanza del culto del dio Bacco giunse a Roma solo intorno al II secolo a.C., in piena similitudine, quasi un parallelismo, con il culto del dio greco Dioniso.

Analogamente al culto di Dioniso originatosi in Grecia, infatti, il culto del dio Bacco, diretto erede di quello greco, si configurava come un culto misterico, riservato cioè ai soli iniziati con finalità mistiche.

Originariamente solo le donne potevano essere iniziate a questo tipo particolare di culto, le quali prendevano il nome di Baccanti una volta divenute sacerdotesse del dio.

Il culto di Bacco non tardò a scontrarsi con la religione ufficiale di Roma.

La situazione in quel periodo nell’impero romano era fortemente tesa, dalla metà del II secolo a.C., infatti, i forti contatti con la Grecia e il diffondersi della cultura ellenistica, avevano iniaziato a mettere in discussione i forti valori tradizionali romani.

Altra causa di tensione per la morale romana fu l’introduzione di culti orientali, exempli gratia quello dedicato alla Grande Madre Cibele, giunto con il trasporto, avvenuto nel 205 a.C., del suo simulacro presso Roma, con la conseguente costruzione di un tempio sul Palatino.

L’elemento tensore di suddetti culti fu che alcune cerimonie ad essi legate, si svolgevano di notte e prevedevano danze e riti di tipo orgiastico, motivo per il quale essi venivano strenuamente disprezzati e contrastati da parte dei conservatori romani, legati alla severa morale del mos maiorum, ritenendoli soprattutto pericolosi per l’ordine pubblico.

Il culto dei Baccanali veniva quindi ritenuto una grave minaccia per la sicurezza dello Stato a causa anche delle dicerie che attorno ad esso veicolavano. Si diceva infatti che i membri della setta segreta tenessero comportamenti violenti e osceni.

Il senato non tardò a reagire a ciò, tentando inizialmente di “romanizzare” le cerimonie vietandone gli aspetti orgiastici, ma questa soluzione non ottenne il successo sperato.

Lo scontro vero e proprio avvenne in seguito al loro rifiuto di riconoscere i valori culturali del particolare culto, degenerando fino al 7 ottobre del 186 a.C. anno in cui il Senato, rispondendo alla forte esortazione di Marco Porcio Catone, emise un senatoconsulto, passato alla storia come Senatus consultum de Bacchanalibus, con l’intento ultimo di sciogliere il culto e di distruggere interamente i templi ad esso dedicati, confiscando altresì i beni, arrestando i capi e perseguendo gli adepti.

Una copia del decreto venne addirittura fatta incidere dal pretore in carica su una tavola di bronzo, la quale venne poi ritrovata nell’anno 1640 a Tiriolo, in provincia di Catanzaro, e che adesso è conservata presso il Museo di Vienna.

Della repressione dei Baccanali si ha un dettagliato resoconto grazie allo storico Tito Livio, che con una magnifica ampiezza di particolari ne tratta all’interno del XXXIX Libro delle Storie, in dettaglio all’interno dei capitoli 8-28.

Il decreto deliberava altresì la soppressione delle celebrazioni inerenti al culto dei Baccanali, prevedendone la celebrazione solo in alcuni casi speciali, attuabile solo con previa autorizzazione del senato e a condizione che non partecipassero più di cinque persone per volta, due uomini e tre donne.

Venne istituito un tribunale speciale per regolare questi riti, il quale condannò oltre settemila persone al carcere o a morte. L’accusa era quella di tenere comportamenti immorali e di complottare contro lo Stato.

I Baccanali subirono quindi in un primo momento un forte mutamento, sopravvivendo come feste propiziatorie, abbandonando però la componente misterica, ma a causa della progressiva severità con cui si provvide ad essi, i Baccanali furono definitivamente estirpati dalla città di Roma.

Questo drastico intervento ha però una chiave di lettura nettamente differente da quella superficialmente morale, in realtà esso è un episodio della lunga lotta in corso a Roma tra il partito degli Scipioni, aperto all’influsso culturale greco, e il partito dei conservatori, capeggiato da Catone il Censore, ostile alle influenze ellenizzanti.

Pur non essendoci un diretto rapporto tra il circolo degli Scipioni e i riti del culto dei Baccanali, questi culti vennero politicamente strumentalizzati per dimostrare all’opinione pubblica quanto rischiasse, l’integrità del mos maiorum, di essere minata da un culto greco immorale e pericoloso per l’ordine pubblico, dimostrando la necessità di adozione di un atteggiamento di “tolleranza zero” nei confronti del mondo ellenico e dei suoi fautori.

Spesso il rituale tipico dei Baccanali coinvolgeva più popolazioni di un territorio, le quali si riunivano per diversi giorni in un luogo-simbolo, teatro delle celebrazioni, durante le quali venivano anche praticati dei sacrifici animali.

Finalizzate alla propiziazione dovevano sicuramente essere anche le pratiche sessuali che vi si svolgevano, le quali erano in grado di attuare una non secondaria funzione biologica di rimescolamento del patrimonio genetico tra le diverse popolazioni che vivevano in luoghi remoti e che difficilmente avrebbero avuto altri modi di interagire fra loro.

Collegati ai Baccanali erano anche, quasi sicuramente, i festeggiamenti per i pastori che ritornavano dalla transumanza dopo un’intera stagione. Tutti questi aspetti, però, nella Roma del II secolo, risultavano essere evidentemente assenti, se non persi.

La questione che portò al senatoconsulto de Bacchanalibus, quindi la più scabrosa ed eclatante, fu la pratica durante tali riti, da parte degli adepti, di violenza sessuale, specialmente sui neofiti. Ciò risultava essere inaccettabile, oltre che fortemente in contrasto con quanto le leggi romane affermavano, esse impedivano tali atti tra cittadini, pur permettendole nei confronti degli schiavi.

I Romani furono anche molto sospettosi riguardo questi culti, ed in particolare riguardo le sette misteriche ed iniziatiche, che erano in forte contrasto o minavano o eludevano il forte stato e ordinamento civile romano.

Bacco, Bacchus, è poi una divinità appartenente alla religione romana, tipicamente caratterizzata dal forte senso “anarchico”.

Il suo nome deriva dall’appellativo greco Βάκκχος (Bákkhos), appellativo con cui il dio greco Dioniso (Διόνυσος), veniva caratterizzato proprio nel momento della possessione estatica.

Ma la similitudine tra le due divinità non deve generare confusione alcuna tra di esse!

Dioniso fu un dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante, identificato solo successivamente come dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi, rappresentando quindi l’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo, l’irruzione spirituale della zoé greca, ossia l’esistenza intesa in senso assoluto, la frenetica corrente di vita che tutto pervade.

Dio “ibrido” dalla natura multiforme, sia maschile che femminile, sia animalesca che divina, sia tragica che comica, egli incarna la scintilla primordiale e istintuale presente in ogni essere vivente.

Essa permane anche nell’uomo civilizzato, come sua parte originaria e insopprimibile, potendo riemergere ed esplodere in maniera violenta qualora fosse repressa e non elaborata correttamente.

Bacco, dio del vino e della vendemmia, giunge con il suo culto nella penisola Italica solamente nel II secolo a.C.

É spesso ritratto come un uomo col capo cinto di pampini, non magro, né muscoloso ed ebbro, tiene spesso in mano una coppa di vino o il tirso. Egli è noto come il dio del vino dalla plebe, ovvero il popolo per lo più sempliciotto e volgare. Le sue vere radici sono note solamente agli esperti in materia di astrologia e filosofia, studiosi e custodi di una sapienza antica, conoscono. Egli è il dio dei rudimenti.

Bacco, con i suoi culti, venne soppiantato nell’epoca classica da Liber, figlio di Giove e della mortale Semele nasce come un semidio, ma èviene promosso a divinità da Giove, per aver inventato il vino, divenendo uno dei dodici dei maggiori prendendo il trono di Vesta.

Emanuele Marino
Emanuele Marino
Giornalista pubblicista, nonché studente universitario iscritto alla facoltà di Lettere Moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II