A Napoli, immerso completamente all’interno dei suoi vicoli, dove oltre alle migliaia di persone scorre ogni giorno la linfa vitale della città, ossia la tradizione e la cultura, si nasconde un laboratorio artigianale in grado di creare non solo statuette, ma vere e proprie opere d’arte. Oggi il XXI secolo ha deciso di scendere tra i vicoletti della città fino a giungere in quel laboratorio ed intervistare un artigiano, che ogni giorno lo passa all’interno del proprio laboratorio, tra ceramiche e smalti, tra creazione e delusione, tra meraviglia e disincanto.
Il XXI Secolo ha avuto oggi il piacere e l’onore di intervistare Enzo De Rosa, artista di un laboratorio artigianale completamente sommerso dalla frenesia della città. Partenope non lascia spazio alla tranquillità, ma ad una più attenta analisi, soffermandosi con occhio critico, si riescono a scorgere diversi dettagli, a volte vere e proprie perle della città, punte di diamante in grado di arricchire ancora un po’ quel già vasto patrimonio artistico e culturale della città.
L’attività del laboratorio non si limita alla mera riproduzione di simulacri tutti identici provenienti dalla tradizione iconografica napoletana, bensì si spinge oltre, ogni pezzo uscito dal laboratorio è una vera e propria opera d’arte, che sì, riprende la tradizione napoletana, ma la usa come punto di partenza, di slancio, mai come punto di arrivo, sfornando oggetti sempre differenti, dove la riproduzione in serie non è neanche pensabile, dove la modellazione sfuma nell’arte vera e propria.
L’intervista
Di seguito l’intervista all’artigiano Enzo De Rosa, che ha gentilmente acconsentito a rilasciare alcune dichiarazioni ai nostri microfoni.
Signor De Rosa, dove affonda le radici la sua carriera, appartenente al settore manifatturiero ed artigianale?
«Io dipingo, come tutti coloro che dipingono, sono giunto al punto nel quale la tela è diventata riduttiva per me, perché per quanto ci si possa impegnare a riprodurre qualsiasi cosa, alla fine la si riproduce sempre su un fondo piatto. Avevo bisogno di tridimensionalità, riscontrabile solo nella scultura, con i pezzi che “escono fuori”, mi sono quindi buttato sulla materia della creta, proprio per uscire fuori dal quadro e cercare una tridimensionalità, ad ogni cosa che facevo. Questo è stato il mio percorso verso la creta. Io ho iniziato a lavorare la creta perché non mi accontentavo più della pittura. Non mi accontentavo più di creare un vaso dipinto, io volevo crearlo davvero il vaso. Volevo toccare con mano la mia arte. La tela restava un fondo piatto, non mi accontentavo più di dipingere un tavolo, una maschera, volevo crearli. La creta è l’unica materia che mi permette di creare, di rendere materiale, tutto ciò che penso.»
Nel mondo moderno si è sempre meno attenti ai dettagli, nonché all’arte, tendendo a preferire spesso oggetti di manifattura industriale. Qual è il segreto che l’ha fatta resistere fino ad oggi in questo settore?
«La passione. La passione per il pezzo lavorato, creato senza stampi. La passione di creare un pezzo che è sempre diverso dagli altri, sempre diverso dal prossimo, ognuno di essi è diverso. Nessun pezzo è mai uguale, ogni pezzo che realizzo è sempre diverso dagli altri, non come la produzione industriale dove tutto è perfettamente identico. Questo è l’animo dell’artigiano, ogni tipo di artigiano lo è.»
In ambito di commercio, gli acquirenti sono perlopiù italiani oppure la maggior parte dei suoi clienti è straniera?
«Dove si trova il laboratorio c’è un passaggio turistico veramente limitato. Io so che i miei pezzi sono molto acquistati dalle persone, soprattutto straniere. Io personalmente non ho contatto diretto con il pubblico, io creo delle cose, poi ai negozianti, agli amici negozianti, piacciono e le acquistano. Io non mi occupo personalmente della distribuzione, ma so che parecchi stranieri acquistano le mie creazioni.»
Quanti pezzi riesce a produrre ogni giorno?
«Dipende. A volte uno, a volte anche due. Se va male, li getto. A volte riesco a produrne anche venti, trenta, dipende da cosa voglio realizzare. Non posso fare una media.»
Nelle sue creazioni si nota un forte attaccamento alla cultura tradizionale napoletana, seppur con l’aggiunta di elementi innovativi e moderni. Dove trova l’ispirazione per le proprie creazioni?
«Io sono sempre stato affascinato dalle forme stilizzate egizie, per cui cerco di stilizzare ogni cosa che faccio, di renderla semplice nelle forme, personalizzandole però con il tipo di smalto, con il tipo di ceramica impiegata, però punto sempre alla semplicità. A me piace molto la forma stilizzata semplice, non quella barocca, molto orpellata. A me piace l’essenziale, quindi in ogni mia creazione io tendo sempre a snellire le forme, una maschera ad esempio tendo a renderla semplice, pur curandone molto i dettagli, come la ceramica e gli smalti utilizzati, nei piccoli dettagli che poi la differenziano dalle altre.»
Quanto tempo dedica alla sua attività creativa e quanto tempo, nel corso della giornata, lei spende all’interno del proprio laboratorio?
«Almeno 10 o 12 ore. Ogni cosa che faccio tendo a renderla creativa. Non riesco, o meglio , per non peccare di presunzione, non mi soddisfa realizzare oggetti sempre uguali e non lo accetto. Allora sperimento, cambio, rinnego quello che ho creato prima per crearne di nuove. Quindi tutta la giornata accoglie un processo creativo, sempre dal primo minuto fino all’ultimo della giornata.»
Crede che il settore della manifattura e dell’artigianato riescano a risollevarsi all’interno del mercato mondiale moderno, oppure il progresso tecnologico lo distruggerà del tutto?
«Io credo che ognuno di noi vorrebbe, preferirebbe oggetti artigianali a quelli industriali, il problema è la massificazione speculativa che impone l’adeguamento.
Ma l’adeguamento impone l’abbassamento dei prezzi e quindi l’acquisto di prodotti industriali. I mass media pubblicizzano una cosa, solleticando l’interesse del pubblico che, affannosamente, desidera possederla. Sono poche le persone che riescono ad apprezzare il lavoro artigianale.»
In che modo crede che una carriera artistica come la sua possa trovare posto nel mondo moderno?
«Io spero di continuare a portare avanti questa carriera che per me è meravigliosa. Lavoro che non mi stanca, che mi da linfa vitale. Nonostante la stanchezza, io nel laboratorio vivo, mi sento vivo, quindi spero si possa continuare con entusiasmo in carriere come questa.»
La redazione del XXI secolo ringrazia sentitamente l’artigiano Enzo De Rosa per la gentile concessione dell’intervista, nonché per la cortesia e la genuinità con le quali si è svolta l’intervista stessa.