Aspetto composto, modi gentili, sguardo pudico, rispettoso sempre e conseguentemente mai volgare. Nato a Genova da genitori napoletani, entrava nelle case degli italiani in punta di piedi con un’andatura da ballerino di Sirtaki (proprio lui negato per la danza) e li conquistava con le idee, numerose e geniali, fin da quando dal 1965 al 69 cambiò il volto monotono e compassato della “Domenica sportiva”, arricchendola di ospiti ed opinioni. Era l’epoca pionieristica della Rai e furono proprio le opinioni coraggiose o forse ironiche ad allontanarlo per la seconda volta da Viale Mazzini; licenziato in tronco perchè in una intervista al settimanale “Oggi” definiva i dirigenti dell’azienda come dei “boy scout che si divertono a giocare con i comandi della televisione”. Semplicemente troppo per quei tempi e troppo anche per i progetti televisivi dei primi canali privati di allora che però gli diedero la possibilità di continuare il suo mestiere fino a quando l’esilio forzato durato sette anni (69-76) non finì grazie alla prima grande riforma della tv pubblica, alle prese con i primi germogli di concorrenza delle tv private. Mai decisione fu più azzeccata perchè dopo pochi mesi le intuizioni di Enzo Tortora furono generosamante inserite in una specie di mercatino global-nazionale come ingredienti in un pentolone che non moltiplicava pane e pesci ma telespettatori; li moltiplicava esponenzialmente settimana dopo settimana fino a raggiungere cifre (26 milioni) mai toccate prima e nemmeno dopo da un programma di intrattenimento.I padroni di casa erano il presentatore ed un pappagallino simpatico e bizzoso chiamato Portobello da cui prendeva nome il programma e che divenne in breve tempo una mascotte popolarissima. Tutto sembrava arridere al figliuol prodigo della tv di stato, fino a quando il successo da sogno non si trasformò in da incubo. Il piccolo schermo non c’entrava per niente questa volta, c’entrava invece l’intero apparato giudiziario alle prese con un’errore di malagiustizia che il popolare presentatore pagò con quattro anni di lotta all’ultimo sangue e che si risolse dopo tre gradi di giudizio, con l’assoluzione piena e l’accertamento della totale estraneità all’accusa di “associazione camorristica e traffico di droga” mossa da due pentiti di camorra, che bastò da sola a rovinare la vita di un uomo perbene. Ne il ritorno in televisione, ne l’elezione ad europarlamentare con il partito radicale di Marco Pannella, riuscirono a cancellare il calvario che dovette vivere Enzo Tortora in quei quattro anni; lui non lo disse mai, lo dicevano i suoi occhi e il suo sguardo che non sembrava più quello di un uomo non ancora sessantenne e quindi relativamente giovane, uno sguardo stanco ma ricco, ricchissimo del coraggio che gli diede la forza di attraversare l’inferno e tornare indietro dalla sua famiglia e dai pochi amici fedeli, uno sguardo diverso si, ma sempre pudico, mai volgare.