Drammaturgo, scrittore, poeta, Premio Nobel per la letteratura nel 1934, forse lo scrittore italiano del Novecento più famoso al mondo: Luigi Pirandello, oltre ad essere uno degli inventori del teatro d’avanguardia, ha saputo farsi interprete dell’autocoscienza del moderno, i cui pilastri sono la teoria e la poetica dell’umorismo.
Nato il 28 giugno 1867 a Girgenti, attuale Agrigento, da una famiglia borghese, che grazie al commercio e all’estrazione dello zolfo godeva di una buona condizione economica, durante l’infanzia ebbe difficoltà a comunicare con gli adulti e specialmente col padre. Ciò lo spronò a migliorare le sue capacità espressive e ad osservare il comportamento di chi lo circondava. Iniziò a studiare filologia romanza a Palermo, poi a Roma, ma fu a Bonn che portò a termine la sua carriera universitaria. Il suo percorso di studi fu evidentemente di fondamentale importanza nella scrittura delle sue opere, che si distinguono per la rara purezza della lingua italiana utilizzata.
A Roma conobbe Luigi Capuana che lo introdusse nei salotti letterari, dandogli l’opportunità di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici.
Nel 1894 Pirandello sposò a Girgenti Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre, dalla quale ebbe tre figli. Quando la situazione economica della coppia crollò a causa di un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di proprietà del padre, la psiche di Antonietta cominciò a mostrare un forte disagio, tanto che la donna fu ricoverata in un ospedale psichiatrico. Proprio dalla malattia mentale della moglie, lo scrittore fu spinto ad interessarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Sigmund Freud.
Secondo Pirandello, l’uomo ha sempre avuto bisogno di ideali e di leggi morali e sociali per cercare di dare un senso alla realtà che lo circonda: con la fine dell’antropocentrismo tolemaico, e quindi con la scoperta dell’irrilevanza del pianeta Terra e di ogni vita umana, ogni fede, valore o ideologia, si rivela però solo un autoinganno, utile per sopravvivere, ma del tutto illusorio.
Dunque, nell’epoca moderna non è più possibile una letteratura del tragico e dell’eroico, ma solo dell’umorismo. Quest’ultimo non propone valori o ideali, né soluzioni o eroi, ma pone l’accento sulle contraddizioni umane, deridendole e compatendole.
Gli autoinganni sono quella “forma” che non permette all’uomo di vivere secondo i suoi impulsi, senza la necessità di un fine ideale e al di fuori di ogni legge civile. Perciò la persona è costretta ad indossare una maschera, a diventare un “personaggio”, a recitare una parte, secondo i dettami della società.
Questa visione della condizione umana è ampiamente descritta nel primo romanzo di Luigi Pirandello, “Il fu Mattia Pascal”, del 1904, in cui il protagonista si riduce ad una non-vita, ad un “fu”, terminando con l’osservare da lontano l’esistenza con ironia e compassione. Nel romanzo, narrazione e riflessione si mescolano, esprimendo uno dei tratti distintivi della scrittura umorista.
Nel 1909, lo scrittore iniziò a collaborare con il Corriere della Sera.
Da grande autore teatrale, si deve a lui una vera e propria rivoluzione in questo campo: nelle sue opere, gli schemi del dramma borghese vengono inseriti, ma il “grottesco” ne mostra il carattere paradossale, l’aspetto ridicolo. Tre le opere da ricordare su tutte: “Così è (se vi pare)”, “Il piacere dell’onestà”, “Il giuoco delle parti”. In esse è sempre presente il tema tradizionale del triangolo moglie-marito-amante, portato all’estremo e, quindi, ridicolizzato.
Queste tipologie prestabilite di personaggi ridotti a maschere rigide e questa trama che obbedisce puntualmente ad uno schema preordinato, conducono a cercare l’autonomia dei personaggi e del teatro “senza autore”. È qui che ha inizio la seconda rivoluzione teatrale di Pirandello, con “Sei personaggi in cerca d’autore”, dove ciascun personaggio vuole salire sul palcoscenico per raccontare la sua verità ed essere così rappresentato dagli attori in base a quella verità. Le diverse verità di ognuno portano a rappresentazioni sulla scena di situazioni divergenti, mentre l’autore è del tutto impotente e si nega a dare un senso alla storia. Il dramma dei sei personaggi esprime il dramma dell’impossibilità di trovare un senso alla vita.