La sera del 27 giugno 1980 l’aereo civile DC-9 della compagnia Itavia, partito alla volta di Palermo da Bologna, sparì improvvisamente. A bordo, 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Il volo sembrò sparire nel nulla all’altezza dell’isola di Ustica: gli schermi di rilevamento radar Roma Ciampino non rilevarono più alcun segnale.
Le ricerche dall’aereo durarono per tutta la notte. All’alba del 28 giugno, però, la tragica scoperta: furono ritrovati alcuni resti del velivolo in mare. Scattarono immediatamente le operazioni di soccorso e 41 corpi furono recuperati. Gli altri resteranno per sempre dispersi. All’incidente non sopravvisse nessuno dei passeggeri.
La reazione a caldo dell’opinione pubblica: un disastro aereo?
Fin dalle prime ore del disastro regnò l’incertezza riguardo l’accaduto. La stampa, il giorno successivo, prese in considerazione la possibilità di un crollo strutturale del velivolo. La compagnia aerea fu duramente accusata di incuria e si diffuse l’idea che il DC-9 fosse precipitato per un’esplosione interna o esterna. A sei mesi dal disastro, un decreto ministeriale priverà la piccola compagnia italiana delle concessioni di volo. Itavia diventerà un vero e proprio capro espiatorio per l’accaduto.
La strage di Ustica: le indagini
La procura di Palermo diede inizio alle indagini riguardo il disastro ma fu presto costretta a interromperle e a trasferirle alla procura di Roma. Dopo dieci anni di investigazioni, perizie ed accesi diverbi, l’ipotesi più accreditata restò il crollo strutturale.
Nel 1990, però, la svolta: grazie ad intercettazioni telefoniche risalenti alla notte del 27 giugno 1980, nuovi elementi decisivi furono presi in considerazione. Le telefonate rivelarono la presenza di intenso traffico militare nella zona del disastro.
Gennaio 1992: il giudice Priore incriminò 13 alti ufficiali dell’aeronautica militare per il reato di attentato contro gli organi istituzionali, alto tradimento e falsa testimonianza. Quest’azione si concluderà, però, con un nulla di fatto. Gli ufficiali saranno rinviati a giudizio fino al 2005. Per l’accusa di strage, il giudice dichiarò il non doversi procedere poiché ancora “ignoti gli autori del reato”.
Le indagini svolte dal 1990 hanno rivelato un’intensa attività di ricerca del DC-9 Itavia nella notte del 27 giugno 1980. Quella notte, gli operatori delle stazioni radio di Ciampino, di Martina Franca e gli ufficiali dell’aeronautica militare erano in continuo contatto telefonico, consapevoli della presenza di traffico aereo militare e della possibile presenza di una portaerei nel Tirreno.
La prima inchiesta giudiziaria si chiuderà 18 anni dopo, nel 1999. Il governo Prodi, intercedendo con la NATO, permise la decifrazione di alcuni codici radaristici indispensabili. La perizia confermò la presenza d’intenso traffico militare aereo nella zona della strage.
Strage del 27 giugno 1980: ad oggi ancora nessun responsabile
Nel 2008, la procura di Roma è decisa a riaprire le indagini. L’ex presidente della repubblica Francesco Cossiga dichiarò, nel corso di un’intervista, che furono i francesi a lanciare un missile contro il DC-9 Itavia quella notte.
L’Italia, nel 2010, inviò quattro rogatorie internazionali a Belgio, Francia, Stati Uniti e Germania. Purtroppo, ad oggi, non è stata ancora identificata la nazionalità degli aerei che il 27 giugno 1980 abbatterono l’aereo civile DC-9 Itavia. Non ci sono ancora responsabili per la morte di 81 vittime civili.
Il processo sui presunti depistaggi a danno delle indagini si è aperto nel 2000. La sentenza del 2005 sostiene che i generali dell’aeronautica militare non si siano macchiati di alto tradimento, non riferendo al governo i risultati dei radar di Ciampino, ma di turbativa, reato ormai caduto in prescrizione perché derubricato. La sentenza è stata confermata nel 2005 con la piena assoluzione dei generali.
La distruzione di prove, l’alterazione di documenti, la falsa testimonianza e l’insabbiamento dei rilevamenti radar nel Tirreno resteranno per sempre nella memoria pubblica.