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31 maggio 1860: la rivolta di Catania

31 maggio 1860, rivolta di Catania: la città si ribella ai Borboni e accoglie i Garibaldini. Un gruppo di Patrioti, capitanati dal colonnello Giuseppe Poulet, si ribellarono ai 3000 soldati capitanati dal generale Clary.

Vennero respinti, nonostante atti di grande eroismo, protrattasi per circa sette ore, da parte degli insorti.

La resistenza, però, portò il militare fedele a re Francesco ad abbandonare Catania, che pochi giorni dopo venne occupata dalle truppe garibaldine.

I catanesi odiavano i Borboni, come e più di tutti i siciliani per svariate ragioni.

Questo sentimento era nato quando, sciogliendo il Parlamento, era stata tolta all’isola la propria libertà. Con la nascita del Regno delle due Sicilie, era stato soppresso il Viceregno e la terra etnea era stata considerata dai Borboni poco più di una colonia. L’idea che la Sicilia fosse una colonia dell’impero borbonico e non  il centro primigenio del potere era stato sottolineato dall’invio di un Luogotenente in quelle terre.

Catania, inoltre, era stata martoriata, bombardata e violentata dai borboniani e dai mercenari svizzeri al soldo di Ferdinando II nella primavera 1849.

Un rancore antico e generazionale, per cui nell’estate 1860 la liberazione fu vista con estremo entusiasmo dalla popolazione catanese.

Nelle truppe della resistenza, tra i tanti volti noti alla storia, la città di Catania annovera un’eroina passata alla storia con il nome di Peppa ‘a cannunera.

Peppa ‘a cannunera, una donna volto della resistenza.

All’anagrafe Giuseppa Bolognara Calcagno, nasce a Barcellona Pozzo di Gotto, nel 1826 secondo alcuni storici, mentre altri sostengono sia nata 1846.

Abbandonata dai suoi genitori naturali, crebbe in un orfanotrofio di Catania portando il cognome della nutrice alla quale fu affidata alla nascita. Crescendo divenne la serva di un oste catanese.

 Visse, agli occhi della società dell’ epoca, un esistenza dissoluta, poiché intratteneva una relazione con un uomo più vecchio di lei. L’uomo, che di professione faceva lo stalliere, si chiamava Vanni e pare che proprio il legame con quest’ultimo fu la causa del coinvolgimento della donna nella rivolta di Catania del 1860.

Il ruolo di Peppa nella rivolta fu un vero e proprio asso nella manica per le truppe rivoltose. Unitasi agli uomini della resistenza, li aiutò a trasportare e installare nell’atrio del Palazzo Tornabene all’Ogninella un cannone precedentemente nascosto. Gli scontri imperversavano per le vie, e Peppa fece aprire il portone sparando un colpo che colse di sorpresa i napoletani, costringendoli a ripiegare.

Le truppe borboniche, nella ritirata si lasciano alle spalle un altro pezzo di artiglieria, un cannone. Sotto il fuoco nemico, Peppa e gli altri insorti, aiutandosi con una fune riescono ad entrarne in possesso.

La resistenza si indebolisce con il passare del tempo, i rinforzi attesi sotto la guida di Nicola Fabrizi tardano ad arrivare e la cavalleria cerca di aggirare gli insorti. È’ mezzogiorno e Peppa a’ Cannunera è ancora lì insieme ad un gruppo di popolani.

Trascinarono il cannone di cui si era impadronita, in piazza sul parterre di Palazzo Biscari alla Marina per rispondere ai copi della nave da guerra che cannoneggia la città.

Quando le cartucce stanno per finire e la resistenza contro le truppe borboniche comincia a perdere terreno, i rivoltosi abbandonano Peppa, che nella sua posizione viene minacciata da ben due squadre di lancieri provenienti dal Duomo.

In questo momento la donna ha un vero colpo di genio e inganna la cavalleria. Spruzzando sulla punta del suo cannone un po’ di polvere da sparo e dandole fuoco dà al nemico l’impressione di aver sparato un colpo che però ha fatto cilecca. Pensando che il cannone sia scarico, la carica avanza, Peppa però resta ferma al suo posto, aspettando il momento giusto. Spara gli ultimi colpi e fa strage di nemici.

Le sorti della rivolta di Catania sono note, ma la figura di Peppa rimane importantissima nella storia della Sicilia, ma soprattutto della città che le ha anche intitolato una strada.

Rimarrà ancora con i rivoltosi come vivandiera, ma durante le lotte per liberare Siracusa dal dominio borbonico, tornò in battaglia.

In quel smise di indossare abiti femminili per non indossarli mai più. Cessate le insurrezioni venne decorata con la Medaglia d’argento al valor militare, aggiudicandosi una pensione dallo Stato.