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13 Febbraio 1633, processo a Galileo Galilei

«La Terra non è il centro del mondo, né immobile, ma da sé si muove» e «il Sole è […] del tutto immobile».

Per oltre duemila anni nessuno aveva mai osato mettere in discussione il pensiero artistotelico,  secondo cui il moto di un corpo è determinato dalla sua stessa natura. E se nessuno fino a quel momento aveva azzardato tali confutazioni, il pisano Galilei ebbe il coraggio di proseguirne gli studi e incrementare la ricerche, come nel caso del famoso pendolo nel Duomo di Pisa.

Ma la storia insegna: il genio da solo può fare ben poco.Al genio va accompagnata una buona dose di testardaggine e spirito rivoluzionario.

Vi fu un primo processo nel 1615, quando il  frate domenicano, Tommaso Caccini si rivolse al Sant’ Uffizio, tacciando le teorie di Galilei come pericolose ed eretiche. Denuncia accolta dal potentissimo Cardinale Bellarmino che spinse Papa Paolo V a considerare eretiche le tesi in difesa di Copernico, mosse da Galilei.

 Forte dell’ala protettiva del Granduca Cosimo II de’ Medici, Galilei affrontò il primo processo con relativa serenità, inconsapevole però  che in quello stesso processo, qualcuno aveva introdotto nel verbale un atto in cui gli si vietava l’insegnamento delle teorie copernicane.

Documento di cui non si seppe nulla fino al fatidico 13 febbraio 1633, quando venne riaperto il processo a Roma, in seguito alla pubblicazione del ” Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”.

Galilei aveva in effetti inviato il manoscritto a Roma, verso la fine del ’29, proprio per ottenerne la pubblicazione post revisione. Ma i nemici erano molti, e Galilei si era già assicurato fama di eretico e fu così che molti atti furono falsificati e tirati fuori prima dell’udienza e lo scienziato fu accusato di eresia e poi condannato in giugno, quando fu costretto all’abiura delle sue teorie astronomiche. Alla fine del processo Galilei dichiarò davanti ai giudici : “Con cuor sincero e fede non finta, abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie”.

Leggenda vuole che alla sopracitata frase, lo scienziato ne abbia aggiunto un’altra passata alla storia : ” Eppur si muove”. Lasciando così il tribunale.

Frase che molti studiosi hanno però attribuito allo scrittore Baretti, presente in un’antologia del 1757 scritta in difesa dello scienziato rivoluzionario.

Ci sono voluti 359 anni, una serie  di Papi, per arrivare alla Sessione Plenaria,  della Pontificia accademia delle scienze, con Giovanni Paolo II,  a rendere giustizia alle teorie galileane, con il riconoscimento degli errori commessi.