L’utilizzo di plastiche per gli imballaggi alimentari ha abbattuto notevolmente i costi di produzione delle aziende del settore alimentare, che hanno sostituito gradualmente i contenitori e le confezioni in tempo realizzate in vetro con quelli più innovativi, versatili e leggeri costruiti in plastica. Incriminata ultimamente questa sostanza da uno studio condotto dell’Università di Vienna, che he ha dimostrato la tossicità derivante dal rilascio di microparticelle plastiche all’interno degli alimenti contenuti in essi.
Lo studio è stato condotto a Vienna ma ha coinvolto otto paesi in tutto il mondo.
Nel corso degli studi, gli scienziati hanno messo in luce il ritrovamento di minuscole particelle appartenenti a nove diversi tipi di plastica all’interno degli alimenti, evidenziando la gravità di tale scoperta, una volta giunte nell’intestino, queste sostanze possono arrivare a sopprimere il sistema immunitario permettendo la trasmissione di tossine e pericolosi patogeni.
I dati rinvenuti dallo studio, hanno messo in luce un altro aspetto fortemente preoccupante, riguardante in particolare la dimensione di suddette particelle plastiche, di dimensioni che spaziando dai 50 ai 500 micrometri, particolato finissimo che può causa di danni ingenti all’organismo.
Sono stati rinvenuti in particolare due tipi di plastica più comune, il PET, o polietilentereftalato, ed il PP, o polipropilene, con una media pari a 200 particelle ogni 100 grammi di feci.
“È particolarmente preoccupante ciò che questo significa per noi, e in particolare per i pazienti con malattie gastrointestinali. Mentre le più alte concentrazioni di plastica negli studi sugli animali sono state trovate nell’intestino, le più piccole particelle microplastiche sono in grado di entrare nel flusso sanguigno, nel sistema linfatico e possono persino raggiungere il fegato. Ora che abbiamo le prime prove per le microplastiche all’interno degli esseri umani, abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per capire cosa questo significhi per la salute umana”, come dichiarato dal dottor Philipp Schwabi, appartenente all’Università medica di Vienna, Austria.
Lo studio non ha permesso di individuare in maniera certa la fonte primaria della plastica contenuta all’interno degli individui, ma è stato d’aiuto il diario alimentare tenuto dal campione di partecipanti. All’interno di quest’ultimo venivano annotati gli alimenti consumati, è stato quindi semplice constatare che tutti avessero acquistato e consumato alimenti e bevande confezionate nella plastica.
Solamente sei dei partecipanti avevano ingerito pesce di mare, maggiormente soggetto all’inquinamento ambientale.
Si ipotizza che le microparticelle non derivino solamente dagli imballaggi, bensì si pensa che gli alimenti possano essere contaminati anche durante il processo produttivo stesso.
I risultati del test non sorprendono affatto gli studiosi, che hanno semplicemente dimostrato quanto già a conoscenza di tutti.
“Le microplastiche sono state trovate anche nell’acqua di rubinetto, acqua in bottiglia, pesce e cozze e anche nella birra. Siamo anche esposti a particelle di polvere domestica, materiali di imballaggio alimentare per l’uso di bottiglie di plastica, quindi è inevitabile che almeno alcune di queste cose entrino nei nostri polmoni e nei nostri sistemi digestivi” come affermato da Alistair Boxall dall’Università di York.