L’11 maggio 1916 Albert Einstein pubblicò la Teoria Generale della Relatività, già presentata dallo scienziato nel novembre dell’anno prima all’Accademia prussiana delle Scienze. Tale nuova teoria allargava alla geometria e al principio di Gravità, i risultati della Teoria della Relatività Ristretta raggiunti nel 1905, che avevano messo in discussione le basi della fisica di Galileo e Newton costituite dall’assolutezza dello Spazio e del Tempo e dall’irrilevanza del punto di osservazione rispetto ai fenomeni osservati.
Non disponendo di strumenti di laboratorio, da quell’11 maggio di oltre un secolo fa, furono necessari quasi dieci anni di studi perché Einstein potesse individuare la relazione tra fisica e geometria e stabilire che la nostra percezione di Gravità dipende dal moto attraverso lo spazio-tempo: maggiore è la sua curvatura e maggiore è la gravità. Il rapporto spazio-tempo, per lo scienziato tedesco, è paragonabile ad un sottile foglio di gomma piegato, espanso e deformato dalle masse che su di esso si muovono.
Le 10 equazioni di campo che definiscono tale relazione, costituiscono il cuore della relatività generale rivoluzionando per sempre la concezione del mondo. Esse spiegano in modo “semplice” fenomeni prima di allora inspiegabili, fino a predire l’esistenza dei Buchi Neri e di un Universo non statico ma in espansione.
La celebrità di Einstein è dovuta soprattutto all’elaborazione della sua rivoluzionaria teoria sullo sullo spazio-tempo. Era il 1930 quando a New York, ormai già famosissimo, in visita alla Metropolitan Opera House, lo scienziato incontrò un funzionario che, dopo aver discusso sulla relatività, scrisse la sua sintetica e ironica definizione prendendo spunto da Marco Aurelio, l’imperatore romano e filosofo stoico: “Non c’è palo per la sosta nell’Universo”. Einstein divertito prese il biglietto e firmò la sua approvazione: “Gelesen und ichtig gefunden”. (“Letto e trovato corretto”).